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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2012 alle ore 08:02.

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Caro direttore, dello stato nazione si vede ancora la luce ma si è spenta la stella. Soprattutto in Europa. Per questo non sono statalista e non sarò statalista. Non statalista in Italia, non statalista per gli altri Stati d'Europa.

Soprattutto in Europa lo Stato è diventato troppo piccolo per problemi che sono diventati più grandi di lui, troppo grande per problemi che si possono trasferire sussidiariamente ai governi locali.
La dinamica politica europea si sviluppa nella doppia devoluzione di poteri e di competenze verso l'alto e verso il basso. Devoluzione non vuol dire complicazione e sovrapposizione dei livelli di governo, vuol dire ricerca del giusto livello di governo.
La storia del nostro Paese è purtroppo una storia molto complicata. Non era sbagliata la Costituzione del 1948, bilanciata sul rapporto tra Governo centrale e governi locali. L'errore fu prima nella non attuazione, come denunciato da Calamandrei, eppoi nella applicazione fatta con il primo regionalismo. Regionalismo che nel Sud fu il killer dell'unica cosa che funzionava per lo sviluppo: la Cassa del Mezzogiorno. La catena degli errori è continuata, ed è giusto quanto scrive Roberto Napoletano sulla caotica sovrapposizione tra decentramento e Titolo V. Ricordo che a questo proposito il mio intervento in Bicamerale fu: “o l'uno o l'altro”.

Il de-centramento, come dice il nome stesso, presuppone lo Stato centrale e si limita a riorganizzarlo funzionalmente. Il Titolo V va in opposta tendenza non decentrando poteri che restavano al governo centrale, ma moltiplicando i poteri dei governi locali.
È così che il sistema è diventato bizantino. Nel diritto bizantino si perde la linearità del diritto romano. Quest'ultimo conosceva i delitti e i contratti, nel diritto bizantino emergono i quasi-delitti e i quasi-contratti. Alla fine degli anni 90 è stato inventato (dal centro-sinistra) il quasi-statalismo.
Il Titolo V fu un drammatico errore politico. La Costituzione fu modifica radicalmente in una logica di target elettorale, con solo un pugno di voti di maggioranza. Ricordo che la demonizzata devolution, nella sua versione iniziale, era interna alla vecchia Costituzione che fisiologicamente prevedeva «altre competenze potranno essere aggiunte». Si limitava a maggiori competenze organizzative in materia di sanità e di istruzione. Non competenze culturali o ideologiche o sui diritti soggettivi, ma appunto solo organizzative.

Per evitare il meno fu deciso di fare molto di più e molto male. Nel Titolo V c'è scritto che le infrastrutture nazionali sono di competenza regionale. Il Titolo V attribuiva alle regioni competenze in materia di welfare senza contropartita nel dover cercarne il prelievo. È così che è esplosa la spesa per le pensioni di invalidità, non perché la popolazione è diventata invalida ma perche è diventata invalida – amorale, clientelare – la politica regionale. La successiva nuova modifica del Titolo V fu bloccata dal referenduma del 2006, e anche questo fu un errore. Avremmo avuto meno parlamentari, un riordino delle competenze, ridando allo Stato quello che doveva essere dello Stato, e soprattutto ci sarebbe stata la base per il federalismo fiscale.
È per questo, e per tante altre ragioni, che il mio rapporto con le Regioni è sempre stato molto difficile, peraltro – cosa che non mi dispiace – ricambiato. Ricordo la reazione davanti ai tabulati che gli facevo vedere con gli organigrammi delle società locali. Ricordo che nel libro bianco sul federalismo fiscale si poneva l'immagine dell'albero storto cresciuto al posto dell'albero dritto dello Stato.

Che fare adesso? Certamente quanto si suggerisce: una quarantena. Ancora l'anno scorso, ricordavo che il male-affare della politica, a fronte delle difficoltà imposte dalla crisi al popolo, avrebbe evocato anche in Italia la figura storica del “giudice vindice”!
Dopo la quarantena il ritorno al criterio europeo. Il primo controllo devono poterlo fare i cittadini leggendo, come scriveva Tocqueville, «il bilancio sulla casa comunale» e votando in base al principio del «no taxation without representation». Per troppo tempo noi abbiamo avuto «representation with no taxation» e, per ultimo, per effeto della crisi, un eccesso di taxation. Il vero giudice alla fine è, e non puo essere altro, che il popolo che vede, vota e paga. Purtroppo in questo ultimo periodo il popolo ha pagato senza vedere. Adesso comincia a vedere e tra poco avrà occasione per votare.

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