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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2012 alle ore 16:49.

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(Afp)(Afp)

Kismayo. Immaginatevi una città completamente isolata dal mondo, in mano a un feroce gruppo di estremisti islamici. Una città dove le donne, rigorosamente coperte da capo a piedi, vivono segregate. E quando escono, possono viaggiare solo sui mezzi pubblici destinati a loro. Una città dove non si può possedere una tv, la danza è bandita, così come lo sport. Dove i furti sono puniti con le amputazioni, e chiunque violi i precetti di una rigidissima interpretazione della Sharia rischia la condanna capitale. Anche i ragazzini. Il caso di Aisha Ibrahim Duhulow, nell'ottobre del 2008, fece il giro del mondo. Lei, che dopo aver tentato di denunciare lo stupro subito da tre uomini fu accusata di adulterio. E lapidata nello stadio della città davanti a mille spettatori. Aveva solo 13 anni.

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Kismayo era tutto questo, anche di più. Quando la conquistarono, nel 2007, gli Shabaab, gli estremisti islamici affiliati ad al Qaeda, la elessero loro roccaforte. Era un luogo ideale per creare la loro base operativa da cui sferrare gli attacchi contro il governo somalo di transizione, il Kenya e l'Uganda: 520 chilometri a sud est di Mogadiscio e 250 dal confine del Kenya. In mezzo al nulla. Il luogo più inaccessibile al mondo per i giornalisti. E negli ultimi tempi anche per le Ong e gli operatori umanitari, cacciati dagli Shabaab. Kismajo è per la Somalia ciò che Kandahar era per l'Afghanistan durante l'oscuro regno del Talebani.

La caduta
Dopo cinque anni di governo, venerdì notte gli Shabaab hanno dichiarato di aver abbandonato la città per una ritirata tattica. Forse un eufemismo per nascondere una precipitosa fuga. I soldati del contingente dell'Unione Africana (Amisom), fiancheggiati dalle meglio addestrate truppe del Kenya, paese che nell'ottobre 2011 ha sferrato un'offensiva contro i "talebani d'Africa", sono finalmente riusciti a sbarcare sulla spiaggia di Kismajo, conquistando il porto della città. Davanti alla loro potenza di fuoco gli Shaabab hanno abbandonato la città, come accaduto in altre occasioni. I soldati kenioti preferiscono per ora non spingersi nel centro restando nelle vicinanze del porto. Troppe le insidie, dalle trappole esplosive al pericolo di imboscate tra le strette casette di fango. Ma nei luoghi dove sono arrivati, la gente è corsa in strada a festeggiarli.
Nel resto della città è il momento dei saccheggiatori, dei furti, delle violenze commesse alla luce del sole senza che nessuno possa impedirlo. Via gli estremisti islamici armati fino ai denti a garantire la loro sicurezza, la gente vive nel terrore, domandandosi cosa accadrà adesso. Non è la fine degli Shabaab, che hanno promesso gravi rappresaglie, ma il colpo loro inferto è senza precedenti. Senza il porto di Kismayo, le sue infrastrutture, le basi di addestramento, il movimento islamico , sempre più diviso da lotte intestine, ha perso molto potere.

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