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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2012 alle ore 07:05.
L'ultima modifica è del 05 ottobre 2012 alle ore 08:46.

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Nessuno può mettere in dubbio l'opportunità di misure che iniettano dosi importanti di digitalizzazione in una pubblica amministrazione arcaica, che stimolano la nascita di nuove aziende innovative, che riducono i costi della vorace politica locale. I due decreti che il Consiglio dei ministri ha varato ieri non «trasformeranno» certo l'Italia, come è stato erroneamente detto con un'enfasi poco "tecnica" nella doppia conferenza stampa di Monti e dei suoi ministri. Ma sono misure utili, che potranno dare una mano alle imprese e alle famiglie.
Va reso merito al Governo per essersi preso la responsabilità di dare un taglio secco all'ingordigia della politica regionale. Merito doppio se si pensa all'inerzia dei partiti, che hanno tollerato e coltivato al proprio interno quell'ingordigia.

Allo stesso modo, venendo al rilancio della crescita, va riconosciuta all'esecutivo dei tecnici la capacità di aver costruito misure certamente utili alle imprese e allo sviluppo. È un bene incentivare la nascita di nuove imprese innovative, riconoscendo loro vantaggi fiscali o una maggiore flessibilità nell'uso dei contratti di lavoro. È un bene favorire lo snellimento, anche nei costi, della pubblica amministrazione attraverso una cura di bit digitali. È un bene, infine, promuovere il coinvolgimento dei privati nella costruzione delle infrastrutture attraverso un credito d'imposta significativo (magari eliminando in Parlamento qualche filtro e paletto di troppo).

Il giudizio sulle misure approvate ieri, quindi, non può che essere positivo. Ma va anche detto che quando un Paese è nel tunnel di una decrescita che supera i due punti percentuali bisogna metterci qualcosa in più, in termini di ambizione e in termini di risorse. Non bastano i quasi 400 milioni aggiuntivi che il decreto mette a disposizione nel prossimo biennio. Si dirà: ma le risorse a disposizione sono poche. Vero, verissimo. Ma allora, ci si chiede, è proprio necessario impiegare 82 milioni all'anno per adottare il documento unico elettronico di identità? Ed è utile distribuire risorse su tanti microinterventi, invece di concentrarle su poche misure a grande impatto?
Ecco il punto. Il Governo, sullo sviluppo, si sta impegnando in un'opera meritoria di messa a punto di tutta una serie di ingranaggi. Ma difficilmente la macchina del nostro sistema produttivo ripartirà senza che si intervenga in modo coraggioso e percepibile sui nodi veri che ne affossano la competitività.

Tre punti su tutto: ridurre, attraverso tagli di spesa più incisivi, il peso fiscale record che oggi grava su lavoro e imprese; abbattere la zavorra della burocrazia, che pesa sulle imprese per più di 26 miliardi l'anno di costi amministrativi; ridurre quello spread del 30% dei costi energetici che condanna la nostra manifattura a una posizione di minorità rispetto ai competitori europei.
In questo senso i segnali che arrivano da più direzioni non sono così confortanti come le misure approvate ieri. L'eterna questione fiscale, come sottolineano anche le inchieste condotte in queste settimane dal Sole 24 Ore, continua a pesare come un macigno su imprese e famiglie. E il piccolo giallo che ieri si è alimentato intorno all'interpretazione di una frase di Monti in favore dell'avvio dei tagli fiscali non è che l'ennesima prova dell'urgenza del problema.

Un segnale altrettanto negativo è il rinvio delle promesse semplificazioni, che sembrano peraltro destinate a un disegno di legge dal percorso parlamentare lungo e incerto. E infine la retromarcia, ufficializzata ieri, sul via libera alle estrazioni di gas nell'Adriatico, una misura che poteva alleggerire di diversi punti percentuali i costi energetici (mentre dalle bollette arriveranno ancora una volta alcune coperture al decreto approvato ieri).
Il rilancio della crescita è un vasto programma. Richiede ambizione e non consente distrazioni. Ieri il Governo, con i decreti approvati, ha segnato qualche punto a favore. La partita però è tutta da giocare. E l'Italia, per ora, non la sta vincendo.

Twitter@FabrizioForquet

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