Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2012 alle ore 14:15.

My24

Approvare la legge anticorruzione, presto e bene. Lo abbiamo scritto e ripetuto più volte, sottolineando l'importanza di questi due avverbi: «presto», perché l'economia sana, la concorrenza leale, la giustizia fiscale, la crescita, la legalità, l'etica pubblica, i cittadini onesti stanno pagando un prezzo troppo alto, e da troppi anni, a causa della sostanziale inerzia politica che in vent'anni e più si è contrapposta al dilagare della corruzione; «bene», perché la gravità della situazione, come ha denunciato anche di recente il Capo dello Stato, non consente più di aggirare la questione - che è «questione morale» - con norme manifesto o contraddittorie, quando non addirittura controproducenti.

Sia chiaro: la legge, questa legge, non è e non sarà mai la panacea contro la corruzione, nemmeno sul piano giudiziario; ma dev'essere onesta come i cittadini che la attendono da decenni, almeno il segnale chiaro che si sta imboccando una strada nuova, con tutti i limiti che la mediazione politica porta con sé, ma senza furbizie, scorciatoie, omissioni, sottovalutazioni.

L'accelerazione (apparentemente improvvisa) del ddl anticorruzione, che ora chiedono tutti in Parlamento, sarebbe quindi un ottimo segnale se viaggiasse di pari passo con la volontà di migliorare il testo o almeno di correggerne alcuni errori macroscopici. Una volontà che non si riscontra nella maggioranza e che perciò chiama il governo a una responsabilità ulteriore, ma necessaria, di fronte al Paese e alla comunità internazionale perché. Come ha detto Mario Monti parlando di alcune forze politiche, l'inerzia è comprensibile, ma non è scusabile. Ma questo principio vale per tutti coloro che sono impegnati in questa battaglia, compreso il governo e finanche la stampa.

Alcune lacune della legge sono irrecuperabili in questa situazione politica e semmai - ma purtroppo nutriamo un certo scetticismo - potranno essere colmate nella prossima legislatura: introduzione dei reati di falso in bilancio e di autoriciclaggio e, soprattutto, modifica del sistema della prescrizione (per tutti i reati), così da rendere efficace sul piano giudiziario il contrasto alla corruzione. Altre modifiche, però, sono più che possibili, a meno che non ci sia un accordo di ferro governo-maggioranza per blindare questo testo, costi quel che costi. Ci riferiamo alle ricadute sui processi in corso della nuova norma sulla concussione (il più grave dei reati contro la pubblica amministrazione) che tra l'altro abbassa la pena da 12 a 8 anni nei casi di «induzione» (quando cioè ci si si fa dare o promettere qualcosa con mezzi subdoli, striscianti, mafiosi, tali da coartare di fatto la volontà del concusso). Il reato è stato riscritto dal governo (le proposte originarie erano un evidente colpo di spugna, fortunatamente scongiurato) e già questo potrebbe avere ricadute sui processi se qualche giudice non seguirà, come noi invece ci auguriamo, l'interepretazione "conservativa" del ministro Severino. Ma l'abbassamento della pena a 8 anni porta automaticamente con sé un taglio della prescrizione di ben 5 anni (da 15 a 10) e quindi dei processi in corso, ai quali verrà tolto ossigeno da un giorno all'altro, perché la norma (essendo più favorevole all'imputato) si applicherà subito.

E chi dice: «Quando governeremo noi, rimetteremo le cose a posto» forse dimentica che, se anche dovesse accadere, la correzione varrà solo per il futuro (essendo più sfavorevole all'imputato). Nel frattempo, però, si sarà consumato un piccolo colpo di spugna, un mini-indulto a vantaggio dei presunti concussori, funzionari pubblici e politici di vari schieramenti che hanno conti aperti con la giustizia e che si vedranno prosciolti dall'accusa per prescrizione del reato.

Tra i concussori indagati o imputati ce ne sono alcuni "eccellenti", come Silvio Berlusconi e Filippo Penati. Ma l'elenco è lungo. E anche se le conseguenze non saranno le stesse per tutti (non subito, almeno), lo "sconto" sui tempi del processo è un regalo di cui in questo momento non si capisce né il senso né la necessità. Che i processi siano migliaia o "solo" centinaia, il danno per la giustizia (in termini di risorse investite, di efficacia e di credibilità) sarà enorme. Ma ancora più grande sarà il danno alla credibilità del Paese e della sua classe politica - governo e maggioranza - che in un momento così delicato per l'etica pubblica dovrebbero astenersi da qualunque intervento sull'esistente giudiziario, fosse anche un solo processo. Anche perché la modifica proposta non è assolutamente strategica, in prospettiva, nella lotta alla corruzione.

Per i lettori del Sole 24 ore tutto questo non è una novità. Abbiamo seguito passo passo, fin dall'inizio, l'evoluzione-involuzione di questo aspetto del ddl, preoccupandoci soltanto di documentarlo e di comprenderne le ragioni. In questi ultimissimi giorni il tema è comparso - con il rilievo che merita - anche sulle pagine di alcuni quotidiani, ma continua ad essere ignorato o sottovalutato dalla maggior parte dei media. Ancora più singolare è che venga ignorato da quegli organi istituzionali che, per mestiere, hanno sempre avuto - e rivendicato - voce in capitolo sulle riforme importanti della giustizia e sulle loro possibili ricadute sul sistema giudiziario, come il Csm. Che ancora oggi, di fronte alla prospettiva di una approvazione immediata della legge, non sa se e quando formulerà un parere sulla legge.

Un «silenzio assordante» lo definì Il Sole 24 ore a giugno, dopo l'approvazione del testo da parte della Camera, ricevendo una risposta risentita ma anche rassicurante del vicepresidente del Csm Michele Vietti, che preannunciava un intervento sulla materia. Sono passati quattro mesi, ma il parere non solo non c'è stato e, se ci sarà, arriverà forse a tempi scaduti.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi