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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2012 alle ore 14:36.

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Proporzionale con sbarramento al 5% che scende al 4% per chi si coalizza e premio di governabilità al 12,5% da assegnare alla lista e/o alla coalizione che arriva prima. È questo l'accordo politico siglato da Pdl, Pd e Udc (il via libera dei plenipotenziari dei partiti Denis Verdini, Maurizio Migliavacca e Lorenzo Cesa è arrivato nelle scorse ore) che ha sbloccato in Senato l'impasse sulla legge elettorale.

Resta aperta la questione non secondaria della modalità di scelta degli eletti da parte degli elettori: l'opzione che raccoglie sulla carta più consensi è quella delle preferenze (il Pdl ne vorrebbe 3, il Pd 2 con obbligo di alternanza di genere), ma le resistenze a riguardo continuano ad essere moltissime. Non solo tra i democratici, contrarissimi al sistema delle preferenze e favorevoli ai collegi uninominali, ma dopo gli ultimi casi di cronaca anche nel Pdl. Quelli ancora da definire sono ad ogni modo dettagli importanti che tuttavia non cambiano il senso politico dell'impianto di base. Tra oggi e domani la questione preferenze e/o dei collegi verrà sbrogliata direttamente con il voto in commissione Affari costituzionali. Sul resto si va avanti, ed è su questo che si costruiranno strategia delle alleanze e quadro politico della prossima legislatura.

Un compromesso tutto italico
La prima cosa da notare è che non è la legge elettorale che i protagonisti della trattativa sognavano: non è né il doppio turno alla francese da accompagnare con l'elezione diretta del presidente della Repubblica, né lo schema ispano-tedesco già messo a punto dagli "sherpa" della prima ora Gaetano Quagliariello e Luciano Violante da accompagnare con il premierato forte. Si tratta di un compromesso tutto italico, a cominciare da quell'asticella del premio al 12,5% situata esattamente a metà tra quello che voleva il Pdl (non più di 10) e quello che voleva il Pd (non meno di 15). E come tutti i compromessi ha il pregio di tamponare le storture più macroscopiche del Porcellum senza però scegliere un sistema coerente. Condannando di fatto la legge elettorale che si sta per varare alla precarietà: è già chiaro che si tratta di un modello fruibile ora, in questa particolare fase di transizione, e non oltre.

Il pregio di correggere gli errori del Porcellum
Veniamo intanto alle storture del Porcellum che si tenta di correggere. La questione delle liste bloccate (da risolvere con le preferenze o con i collegi) è la più sentita dall'opinione pubblica ma non è l'unico difetto. Intanto nella nuova legge il premio di governabilità viene assegnato su base nazionale sia alla Camera sia al Senato: è così bypassato uno dei principali difetti del Porcellum, che prevedendo la "lotteria" del premi regionali al Senato esponeva al rischio di due maggioranze diverse tra le due Camere (come già accaduto in parte con l'ultimo governo Prodi, in piedi a Palazzo Madama per due o tre voti di scarto). Inoltre il premio contenuto del 12,5% espone certo al rischio ingovernabilità, come teme il Pd di Bersani, ma almeno supera un altro difetto del Porcellum, quello che Roberto D'Alimonte ha chiamato «eccesso di disproporzionalità»: con la legge targata Calderoli, quella con la quale si è votato nel 2006 e nel 2008, chiunque arriva primo ottiene il 54% dei seggi in Parlamento indipendentemente dalla percentuale raggiunta alle urne. Se in uno schema bipolare si tratta di una "disproporzionalità" tollerabile, in un panorama di frammentazione come quello attuale, con il primo partito che nei sondaggi non supera il 28%, non lo è. Infine c'è una semplificazione rispetto al confuso sistema di soglie di sbarramento variabili previsto dal Porcellum per chi si allea e per chi corre solo (2 e 4% alla Camera, 4 e 8% al Senato): lo schema della nuova legge prevede che lo sbarramento sia per tutti del 5%, salvo scendere al 4% per i partiti che si legano in una coalizione che raggiunga almeno il 15%.

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