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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2012 alle ore 09:34.

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Fa impressione, quasi nelle stesse ore, dover prendere atto di alcune risposte dello Stato su temi che toccano il suo rapporto con i cittadini-contribuenti. Impressione e sorpresa, visto il parallelo dipanarsi della generale richiesta di sacrifici e l'emersione di indecorosi scandali e sprechi pubblici.

Per questo, anche i presidenti della Repubblica, Giorgio Napolitano, e del Consiglio, Mario Monti, dovrebbero valutare attentamente il problema.
Atto primo. La Camera con il voto di fiducia approva la "delega fiscale" e chiede solennemente all'articolo 1 che il Governo, per la riforma del sistema, rispetti i principi dello Statuto del contribuente «con particolare riferimento alla non-retroattività delle norme tributarie».
Atto secondo. Il testo della legge di stabilità messo a punto dal Governo conferma che il taglio degli sconti su detrazioni e oneri deducibili è riferito al 2012 ed è dunque retroattivo (il fatto che lo pagheremo nel 2013, come ha detto ieri il ministro Vittorio Grilli, non cambia la sostanza della questione).
Atto terzo. I magistrati supremi della Corte Costituzionale, sul cui tavolo sono piovuti i ricorsi di quasi tutti i Tribunali Amministrativi Regionali (i Tar, che in questo caso rappresentano 1285 magistrati proponenti la causa) bocciano un altro taglio, quello ai maxistipendi pubblici. Il trattamento economico dei magistrati, si afferma tra l'altro nella sentenza, è «assistito da certezza e continuità a garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario».

Già, perché il taglio «altera», argomenta il Tar umbro richiamandosi all'arte del movimento di Rudolf Steiner, «l'euritmia di un sistema che prevede un meccanismo automatico di determinazione dello stesso regolato da leggi ordinarie, al fine di assicurare l'autonomia e l'indipendenza dei giudici». Mentre il Tar della Sicilia punta il dito sulla disparità di trattamento: «per far fronte a una crisi che grava su tutta la popolazione impongono un sacrificio rilevantissimo solo ad una categoria ridotta di cittadini lasciando indenni redditi e retribuzioni di tutti gli altri contribuenti aventi medesima capacità contributiva».
E si potrebbe continuare a lungo con le citazioni.
Tutto meno che "euritmica" e artistica è invece la danza dei rapporti tra lo Stato da una parte, i cittadini e le imprese dall'altra. Lo «Statuto del contribuente», legge del 2000 arrivata trent'anni dopo lo «Statuto dei lavoratori», avrebbe dovuto essere il perno del nuovo patto di fiducia tra Stato e cittadini dopo decenni di sudditanza nei quali le onnipotenti burocrazie sottostanti i più diversi governi avevano imposto le loro regole. Opache, molto spesso vessatorie, auto-interpretate, inafferrabili.

Ma non è andata così. A dispetto di forbite discussioni «in punta di diritto», come si dice, che attribuivano allo Statuto un valore di legge di rango costituzionale, la realtà è stata un'altra. Centinaia sono state le sue violazioni dei Parlamenti e dei governi di ogni colore. Leggi, leggine e decreti hanno fatto ricorso allo strumento della prevista deroga a mani basse, esplicitamente e no. In questo modo, gli stessi diritti dei contribuenti elencati e sanciti dallo Statuto sono diventati via via derogabili. A discrezione in ultima analisi di quello Stato che oggi, a proposito di legalità, non salda i suoi debiti con le imprese. Derogabili all'infinito sono anche i pagamenti della pubblica amministrazione.

Come ripete Vittorio Grilli, ministro dell'Economia di un Governo che ha fatto della credibilità un'arma vincente, la legge di stabilità è modificabile in Parlamento. E davvero, questa volta, sarebbe opportuno emendarla. Non per alzare le spese e sabotare i saldi, ovviamente, ma per ripristinare, con la legge che svolge la sua funzione di garanzia, il principio elementare della certezza del diritto che in questo caso si chiama «non retroattività» delle norme tributarie.
Sarebbe un segnale forte e concreto, di ritrovata fiducia nel rapporto tra Stato e cittadini-contribuenti, e non solo un richiamo formale (e derogabile nei fatti) inserito a futura memoria nella delega per la riforma fiscale.

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