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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2012 alle ore 07:09.
L'ultima modifica è del 16 ottobre 2012 alle ore 07:11.

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Se l'industria ritorna ad essere uno dei principali pilastri su cui rafforzare l'Unione europea e rilanciare la crescita della Ue e della Uem, allora vuol dire che questa crisi ci ha insegnato molto. I segnali e le iniziative a livello di Consiglio europeo, Commissione europea e ministri dell'Industria dei maggiori Paesi manifatturieri della Uem (Germania, Francia e Italia) sono incoraggianti.

Partiamo dai ministri, tra i quali vi è Corrado Passera che sta affrontando le maggiori difficoltà per un rigore di bilancio che lascia troppo poco spazio al rilancio industriale e alla crescita, senza i quali la nostra economia reale subirà un depauperamento grave. Nella lettera congiunta dei ministri, rivolta al commissario europeo per le imprese e l'industria, Antonio Tajani, si rileva che l'industria Ue esprime il 25% dei posti di lavoro, l'80% della spesa in ricerca e sviluppo, il 75% delle esportazioni, ma che negli ultimi anni s'è molto indebolita. Sono calate l'occupazione, la quota delle esportazioni e quella dei brevetti sul totale mondiale.

Per questo i ministri chiedono un rilancio industriale elencando molti settori di intervento. È la stessa tonalità che la settimana scorsa a Milano ha usato proprio il commissario Tajani presentando la nuova strategia per mettere l'industria al centro del piano di crescita europeo con un obiettivo importante: portare la quota dell'industria sul Pil della Ue dall'attuale 15,6% al 20% entro il 2020. Obiettivo condiviso, come serio e concreto, dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che nel contempo ha auspicato politiche di bilancio nazionali che non penalizzino gli investimenti industriali dai quali passa il rilancio della crescita.

Passera, Tajani, Squinzi hanno tre ruoli diversi ma a noi pare che abbiano analoga intonazione, e questo può contare molto per avere una politica industriale europea che serva anche all'Italia. Negli ultimi 20 anni siamo infatti riusciti a restare il secondo Paese manifatturiero della Ue malgrado molti ritenessero che la nostra industria dovesse diventare appannaggio dei Paesi emergenti e l'Europa dovesse dedicarsi ai servizi finanziari.

Altri affermavano che la politica industriale europea (ed italiana) andava riassorbita totalmente in quella della concorrenza dove il mercato mondiale avrebbe «giudicato i migliori». Non si teneva però conto che altri Paesi (avanzati e non) sostenevano l'industria mentre altri ancora alteravano i mercati mondiali con vari dumping. La crisi ha smontato le tesi anti-industriali perché in Europa, mentre molte banche (non in Italia) sono state salvate dagli Stati, l'industria ha resistito per conto proprio pur pagando un alto prezzo. Anche per questo merita di essere adesso valorizzata rispetto a settori e Paesi che hanno fruito di forti sostegni pubblici.

Vediamo allora in cosa consiste la nuova strategia industriale europea che è stata prefigurata al Consiglio europeo di fine giugno con l'approvazione di un ampio "Patto per la crescita e l'occupazione" che dovrebbe essere il "Growth compact" da affiancare al "Fiscal compact". Purtroppo non è così perché mentre per il "fiscal" vi è un controllo europeo anche con sanzioni e con possibili deferimenti alla Corte di giustizia Ue per gli Stati inadempienti, per il "growth" siamo ben più nel vago. È questa una mera constatazione in quanto non ci convince né la versione punitiva del primo "compact" né quella esortativa del secondo. Quest'ultima viene tuttavia concretizzata dalla comunicazione ("Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica") presentata dalla Commissione europea.

Sappiamo che non bastano ottimi elaborati per generare fatti ma crediamo anche che un'ampia convergenza sui programmi concreti conti molto. Noi concordiamo sulla necessità di una maggiore coesione politico-istituzionale della Ue e della Uem ma alla stessa vanno affiancate iniziative fattibili ed efficaci nel medio termine. Tali sono quelle industriali sui cui la Commissione vuole sistematiche consultazioni attuative del partenariato tra pubblico e privato, tra Stati e istituzioni europee. La nuova politica industriale europea è orientata a investimenti e innovazione; espansione del mercato (interno e internazionale); accesso al credito e ai finanziamenti; capitale umano e competenze.

Rifletteremo in via specifica su queste filiere, dove centrale è per noi quella degli investimenti. La Commissione segnala infatti che quelli lordi sono scesi durante la crisi, dal 2007 al 2011, dal 21,25% al 18,6% e per gli stessi fissa un obiettivo di ritornare ai livelli pre-crisi entro il 2015 e di arrivare al 23% del Pil entro il 2020. Se così sarà ne seguiranno notevoli progressi in innovazione e produttività che oggi vengono penalizzate nella Ue e nella Uem da rigore e recessione. Un binomio pericoloso che dobbiamo superare in Italia anche per evitare di compromettere i notevoli successi del Governo Monti.

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