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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2012 alle ore 07:29.

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Dice Pier Carlo Padoan, vicesegretario Ocse, che le riforme strutturali del governo Monti potrebbero aumentare il Pil di 4 punti percentuali in 5 anni, «che non è poco». Ma «se al tempo stesso non c'è un significativo successo nella lotta alla corruzione, quei benefici potrebbero essere in gran parte vanificati». È la conferma del peso economico della corruzione e della necessità di un contrasto efficace.

Il «successo» della strategia anticorruzione non è un elemento trascurabile. Nel vuoto di etica e di legalità di questi vent'anni - in cui la corruzione ha precipitato l'Italia al 67° posto (dopo Ghana e Rwanda) nella classifica mondiale sulla corruzione percepita, riducendo gli investimenti stranieri del 16%, bloccando la crescita delle imprese del 3% annuo e comprimendo il reddito del 2,4% - l'approvazione di una legge anticorruzione è quindi un fatto importante (addirittura storico) purché, però, sia una legge veramente efficace. Solo così può contribuire al «successo» della lotta alla corruzione, a cui sono appese le sorti della crescita economica (e morale) dell'Italia. E piaccia o no, l'efficacia (o il successo) delle nuove regole si misurerà anche sulla capacità dello Stato di accertare le responsabilità penali. Quindi, nelle aule giudiziarie. Perciò, per quanto la risposta penale sia soltanto il tassello di una strategia più ampia, deve essere una risposta qualificata, coerente e non solo «un primo passo». L'emergenza non lo giustifica più.

La fiducia chiesta ieri dal governo sul ddl anticorruzione va quindi al di là del semplice strumento istituzionale necessario per l'approvazione di una legge delicata (peraltro condivisa dalla maggioranza). È molto più impegnativa, perché è una richiesta di fiducia al Paese sull'efficacia della legge e sulla sua idoneità a conseguire quei «successi significativi» nella lotta alla corruzione che sono ormai indispensabili per restituire credibilità all'Italia e contribuire al suo riscatto economico e morale. Come non si stancano di ripetere gli economisti, lottare contro la corruzione significa combattere le ingiustizie sociali e la povertà, aumentare la qualità dei servizi, promuovere l'equità fiscale e l' efficienza della spesa pubblica, disinquinare la concorrenza. In una parola: crescita.
La posta in gioco va ben al di là dei 60 miliardi annui quantificati dalla Corte dei conti come costo della corruzione. E richiede una strategia ampia, perché la crisi economica è anzitutto crisi di valori e ci ripropone in tutta la sua gravità una «questione morale» mai davvero affrontata. Lo ha ricordato Gherardo Colombo, ex Pm di Mani pulite quando ha detto che la lotta alla corruzione «più che un problema di regole è un problema di comportamenti, in questa fase di smarrimento complessivo del nostro Paese». Ma se è dai comportamenti che bisogna (ri)partire, è essenziale che chi ha responsabilità politiche giochi la partita fino all'ultimo minuto. Fino all'ultimo sì delle Camere.

Il Sole 24 Ore già ad aprile del 2012 aveva sollecitato il governo ad andare avanti con la fiducia. Per la stessa ragione, non ha mai smesso di ragionare sulla legge all'esame del Parlamento per contribuire a migliorarla, soprattutto là dove rischia di diventare un boomerang invece che una freccia con cui colpire al cuore il malaffare. L'ipotesi che, con la riforma, anche uno solo dei processi in corso per reati contro la pubblica amministrazione, invece di arrivare più speditamente all'accertamento della verità possa morire prematuramente asfissiato da una prescrizione più breve, non sarebbe un segnale di «successo» nella lotta alla corruzione ma semmai di debolezza e di incoerenza. E la stessa legge perderebbe anche quel valore simbolico che, con tutti i suoi limiti, le viene riconosciuto.
Perciò, finché il ddl non taglierà il traguardo finale, è persino doveroso continuare a pensare che possa essere ancora migliorata in alcuni punti e che governo e maggioranza lavorino in questa direzione, senza agitare ciclicamente lo spauracchio dell'affossamento né rimuovere i problemi che ancora ci sono. Ed è un dovere di tutti - anche della stampa - contribuire al «successo» della lotta alla corruzione, per aiutare l'Italia a crescere.

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