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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2012 alle ore 12:34.

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«Un personaggio dalla debordante propensione criminale», che «irriderebbe eventuali prescrizioni diverse» dalla custodia cautelare in carcere. Non lasciano scampo alla detenzione i giudici del tribunale del Riesame di Roma, che nelle motivazioni con cui hanno respinto la richiesta di scarcerazione avanzata dai legali di Franco Fiorito, ex capogruppo Pdl al Consiglio regionale del Lazio indagato per peculato, sottolineano oggi come solo la detenzione offre il modo di «recidere gli innumerevoli contatti intrattenuti da Fiorito sia con i correi che con soggetti parimenti compiacenti». I complici, in pratica, con i quali, nel caso di arresti domiciliari od obbligo di firma «potrebbe interferire, come già fatto, nel processo di genuina formazione della prova o mantenere la struttura di potere da lui stesso costituita».

L'esponendte Pdl maestro di «scandalosa dissipazione»
Nel bocciare la richiesta avanzata dagli avvocati Carlo Taormina e Enrico Pavia i giudici tornano sul modus operandi di Fiorito, il quale, «approfittando della propria alta funzione si è comportato uti dominus nei confronti di denaro di cui aveva il possesso in ragione del suo ufficio impiegandolo per la soddisfazione di spese spesso di natura voluttuaria». In particolare, Fiorito ha posto in essere «una condotta biennale di ostentata strumentalizzazione della carica rivestita e di scandalosa dissipazione di ingenti risorse pubbliche per fini personali, la negativa personalità che è scolpita dal fatto, ovvero di un ingordo grassatore della cosa pubblica». In un altro passaggio dell'ordinanza con la quale hanno confermato la custodia cautelare i magistrati rilevano poi come il quadro delle contestazioni deve anche tener conto di un «carico pendente per tentata concussione, per fatti risalenti al 2004, quando era il sindaco di Anagni».

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