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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2012 alle ore 08:06.

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Un avanzamento di 14 posizioni è incoraggiante. Ma a ben leggere i numeri del rapporto sulla competitività della Banca mondiale le buone notizie finiscono qui. Innanzitutto perché l'Italia resta comunque al 73° posto su 185 economie considerate, dietro a Paesi come la Tunisia e il Kazakhstan, e ben staccata dall'Europa che conta (solo Grecia e Malta nella Ue vengono dopo di noi).

Ma soprattutto perché il progresso è tutto legato a due piccole riforme: una riduzione di tempi e costi dell'allaccio alla rete elettrica per le aziende; e l'aver reso disponibili online ai notai le mappe catastali digitalizzate. Sul taccuino delle novità che in Italia facilitano l'attività d'impresa i tecnici della Banca mondiale non ritengono di registrare altri interventi.
Il rapporto, va detto, si riferisce al periodo giugno 2011-giugno 2012. È dunque possibile che in questi ultimi mesi l'attività del governo Monti abbia offerto nuovi spunti positivi. E tuttavia si conferma che anche le riforme approvate dopo il cambio di governo faticano a tradursi in innovazioni concrete, in grado di abbattere davvero le tante zavorre che rendono "acrobatico" fare business in Italia.

Se si escludono, del resto, le due novità che riguardano il catasto e i servizi elettrici, i nodi strutturali del sistema sono tutti confermati. Anzi, in molti casi la situazione peggiora. Si aggrava la stretta creditizia, con una retrocessione dal 98° al 104° posto; per la burocrazia legata ai permessi per costruire scendiamo al 103°, perdendo 7 posizioni; sette gradini persi anche sull'avvio di un'impresa (ma qui il decreto sulle start-up potrebbe garantire miglioramenti). Nella Ue, poi, l'Italia è la peggiore nell'applicazione dei contratti e nei costi delle procedure d'insolvenza.
Si conferma, insomma, quello che nel mondo delle imprese è sentire comune. Al di là del giudizio sulle singole riforme del Governo Monti, si fatica a percepirne i benefici in termini di innovazioni reali. Burocrazia, energia, permessi e autorizzazioni, costi dei servizi, fisco: i nodi strutturali del sistema Italia non sono stati (ancora?) significativamente intaccati. Noi del Sole lo sapevamo già. Basta leggere, d'altra parte, le centinaia di lettere che arrivano tutti i giorni nell'ambito dell'inchiesta «Dillo al Sole 24».

Storie di ordinaria follia burocratica, con investimenti che restano al palo perché manca una firma o si è persa una carta. Casi come quello della Cartotecnica Postumia (lo raccontiamo a pagina 3), che per il banale spostamento di un fosso demaniale, a proprie spese, rinvia da cinque anni la costruzione del nuovo capannone. Storie piccole e grandi che ricostruiscono, come in un puzzle, l'immagine di un Paese che non riesce a fare i conti con i suoi mali storici.
Sarebbe ingeneroso sostenere che il Governo Monti su tutto questo sia rimasto a guardare. Anzi, è probabile che in questo anno si sia almeno provato a fare più che in tutto il decennio precedente. E tuttavia, anche al Governo, bisogna prendere atto con serietà che quello dell'attuazione delle riforme resta il vero problema italiano.
Non basta fare leggi, bisogna seguirle con cura e sollecitudine, perché queste possano tradursi realmente in minori oneri e minore burocrazia, superando le tante resistenze che frenano ogni innovazione.

Se questo è il problema, e lo è, continua a lasciare perplessi la scelta del Governo di affidare a un disegno di legge, e non a un decreto, l'ultimo provvedimento sulle semplificazioni. Un testo ampio e articolato, con più di una misura utile, che rischia ora di restare impantanato in un Parlamento inquieto, che già guarda alla fine della legislatura. C'è da augurarsi, almeno, che venga rispettato l'impegno a cercare corsie accelerate, magari ricorrendo alla sede deliberante in Commissione.
In quel disegno di legge c'è, tra le altre misure anti-burocrazia, la semplificazione delle procedure dei permessi per costruire. Torniamo al rapporto della Banca mondiale: l'Italia, in questo ambito, è al 103° posto. Per ottenere un permesso servono ben 11 procedure, con un tempo medio di 234 giorni e un costo del 184% del reddito medio. Si può ragionevolmente pensare che c'è ancora spazio per temporeggiare?
twitter@fabrizioforquet

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