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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2012 alle ore 08:10.

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Da quando è cominciata la crisi mondiale l'Italia è il Paese dei paradossi. Tra le poche economie (con Germania e Francia) a non aver “peccato” negli anni Duemila con una bolla immobiliare-finanziaria, ha sofferto più di tutte (assieme a Germania e Giappone) un forte calo del Pil nel 2009.

Il calo del Pil del 2009 si è verificato per effetto del crollo del commercio mondiale e dell'export causato dalle cadute della domanda interna dei Paesi “peccatori”. Poi il nostro Paese, dopo essersi ben ripreso nel 2010, a causa della crisi greca e del suo “contagio”, pur avendo banche poco infettate da titoli tossici, poco esposte nei PIGS e con una bassa leva, ha vissuto nel 2011-12 una grave crisi bancaria perché le nostre banche hanno scoperto improvvisamente a loro spese che era una “colpa” detenere in portafoglio molti titoli di Stato della propria nazione di appartenenza (titoli peraltro apprezzatissimi anche dagli investitori stranieri sino a quel momento). E siccome nell'estate del 2011 l'Italia è finita nell'occhio del ciclone, lo spread è aumentato, sono crollate in borsa le azioni delle banche nazionali e con esse è diminuita sensibilmente la ricchezza finanziaria netta delle famiglie italiane, pur restando tale ricchezza la più alta dell'Eurozona in rapporto al Pil dopo quella del Belgio.

Siamo arrivati al terzo trimestre del 2011 con la credibilità politica del Paese ai minimi storici ma ancora con buoni fondamentali dell'economia, come dimostrano almeno 5 indicatori: 1) un debito pubblico cresciuto meno persino di quello tedesco sia in valore sia in rapporto al Pil rispetto al terzo trimestre 2008 preso come termine di riferimento (cioè il trimestre in cui cominciò la crisi mondiale con il fallimento di Lehman Brothers); un bilancio statale in avanzo al netto degli interessi, caso quasi unico tra i Paesi avanzati; 3) consumi delle famiglie non entusiasmanti ma quasi tornati ai livelli pre-crisi, mentre quelli di Olanda, Gran Bretagna, Danimarca, Spagna, per non parlare di Irlanda e Grecia, erano letteralmente crollati; 4) un tasso di disoccupazione decisamente più basso di quello della media dell'Eurozona; 5) un export che stava crescendo a livelli record, persino di più di quello cinese. Ma la pessima immagine che abbiamo dato al mondo per gran parte dello scorso anno a causa del caos politico e di governo ha prevalso in negativo su ogni buon indicatore economico. Così, i mercati hanno messo l'Italia nel mirino spingendola sull'orlo di una crisi di liquidità del proprio debito sovrano.

Oggi, grazie a Mario Monti, abbiamo recuperato una quota enorme di credibilità internazionale e i mercati ci guardano con maggiore benevolenza. Ma il paradosso è che sono peggiorati diversi nostri fondamentali economici rispetto al terzo trimestre 2011. Il Pil e i consumi delle famiglie sono in caduta libera. Il tasso di disoccupazione è cresciuto sensibilmente ed è ora sui livelli medi dell'Eurozona. Nè il rapporto debito/Pil migliora, anzi il contrario, almeno guardando ai dati diffusi ieri dall'Eurostat.
Occorre tuttavia analizzare le statistiche nella giusta luce. È vero che i dati Eurostat ci dicono che il debito/Pil dell'Italia rimane il secondo dell'UE-27 dopo quello greco (questa non è una novità) e che alla fine del secondo trimestre 2012 esso è salito al livello record del 123,7%. Ma anche i debiti di quasi tutti gli altri Paesi UE stanno continuamente ritoccando al rialzo i loro precedenti massimi storici. Inoltre, quello che i comunicati ufficiali e i media non riescono a cogliere è che tra il secondo trimestre 2011 e il secondo trimestre 2012 il debito pubblico italiano in valore è quello cresciuto percentualmente di meno, non solo nell'Eurozona ma anche rispetto a Stati Uniti e Gran Bretagna. Il nostro debito, infatti, è aumentato in miliardi di euro nell'ultimo anno solo del 3,8%, meno persino di quello della Germania, che è salito del 4,6%. Dunque la cura del rigore in Italia sta producendo i suoi effetti sui valori assoluti dell'indebitamento. Siamo diventati più virtuosi persino dei tedeschi.

Il paradosso, però, è che a causa della recessione indotta dal troppo rigore, il rapporto debito/Pil dell'Italia peggiora, a causa della forte diminuzione del denominatore, cioè del Pil. Siamo schiavi di una visione euro-statistico-burocratica del debito pubblico incentrata unicamente sul “totem” del rapporto debito/Pil (ignorando altri indicatori statistici altrettanto significativi, come il rapporto debito pubblico/ricchezza privata che evidenzia la nostra assoluta sostenibilità finanziaria). L'ossessione della riduzione del debito/Pil (anche quando il suo livello non dà problema da quasi 20 anni come nel caso dell'Italia che ha sempre onorato rimborsi ed interessi) costringe economie solide come l'Italia a sforzi fiscali eccessivi. Che invece di produrre esiti positivi peggiorano lo stesso rapporto debito/Pil. Per capirci, se nell'ultimo anno il valore monetario del debito pubblico italiano fosse aumentato percentualmente come quello della Germania (cioè del 4,6% tedesco anziché del nostro 3,8%), avremmo “risparmiato” oltre 15 miliardi in minori tasse o per più azioni di sostegno alla crescita. Senza per questo perdere di credibilità agli occhi del mondo.

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