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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2012 alle ore 08:04.

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Che l'industria e la salute non siano spesso sorelle lo sappiamo da sempre. Almeno da quando le tessitrici di Manchester, oltre due secoli fa, cominciarono ad ammalarsi respirando le polveri di lana prodotte dalla lavorazione al telaio. Dopo di allora tutta la storia dell'industrializzazione è quella della ricerca di un compromesso tra salute e lavoro.

E gran parte dello sviluppo del movimento operaio, la nascita stessa del socialismo, è spesso associata proprio alla lotta per condizioni sanitarie migliori sui luoghi di lavoro.
Chiunque abbia fatto e fa industria, in Italia e nel mondo, ha dovuto a un certo punto della sua attività porsi questo problema.
E' un fattore connesso all'attività di impresa. Ed è stato affrontato via via con sensibilità e soluzioni sempre migliori. Da quello che sta emergendo dalle cronache del caso Ilva di Taranto, invece, abbiamo avuto tutti la percezione di un ritorno al passato. A quando, agli albori dell'industrializzazione, il lavoro veniva prima anche di diritti essenziali, come quello alla salute.

E' drammatico quello che è successo a Taranto. Ma non è storia solo di oggi. E non si può ridurre alle responsabilità, che ci sono, della famiglia Riva. Scaricare tutte le colpe sui Riva può essere consolatorio, può aiutarci a lavare una coscienza collettiva, ma non individua né il responsabile vero né la soluzione.
Quel responsabile ha un nome: è lo Stato. Lo Stato italiano. I Riva comprano un'acciaieria che già esiste da decenni. Che è stata voluta, concepita, progettata e costruita dall'Iri, cento per cento Stato italiano.
É lo Stato che mette su un'enorme cokeria in riva al mare, senza alcun riparo dai venti che dal mare arrivano. Sono le amministrazioni locali che permettono la nascita di un enorme quartiere proprio a ridosso di quelle strutture. Sono i poteri pubblici, tutti, a chiudere gli occhi davanti all'obiettivo di creare lavoro ad ogni costo in quella parte di Sud.

I Riva ereditano tutto questo. Le loro colpe non si possono sottovalutare. Sulle bonifiche da fare costruiscono un loro vantaggio. Cercano protezioni, finanziano la politica, partecipano come primi azionisti all'operazione Alitalia che per loro non ha altro significato che procacciarsi ulteriori meriti con i protettori di turno.
E tuttavia lo Stato non può e non deve chiamarsi fuori. Non può farlo perché la responsabilità principale di quanto è avvenuto è sua. È lo Stato il primo colpevole. Ed è lo Stato che deve ora farsi carico della soluzione.
Deve essere lo Stato a pagare la bonifica del sito di Taranto. Chi ha creato quel mostro deve pagare per la sua rimozione.

Solo lo Stato del resto può avere le risorse sufficienti a coprire i costi enormi dell'operazione. Illudersi che i Riva possano farlo significa solo perdere ulteriore tempo. Poi, certo, lo Stato deve rivalersi sui Riva, anche sulla proprietà dell'impianto. Ma senza un'iniziativa pubblica il problema non sarà risolto.
Qui veniamo a un tema più generale. Il ruolo dello Stato nei tanti casi di crisi industriali connesse all'esigenza di bonificare i territori. Ci sono decine e decine di siti in tutta Italia. Aree industriali che potrebbero tornare ad essere polmoni di sviluppo, ma che sono bloccate da costi di bonifica troppo alti per i soli privati.
Sento spesso parlare di ricette per la crescita e per il rilancio della manifattura: ecco una buona occasione. Invece di parlare a casaccio di politiche industriali, una buona politica potrebbe e dovrebbe partire da qui: dalla bonifica delle aree industriali dismesse, attraverso programmi misti tra pubblico e privato, aprendo la strada a possibili investitori italiani e stranieri. È anche così che si attirano capitali interessati a operazioni industriali in Italia. A cominciare magari dai cinesi, dei quali si parla tra l'altro proprio in relazione alle acciaierie e al porto di Taranto. Altra risorsa, quest'ultima, che se opportunamente rilanciata, può diventare un volano di sviluppo per l'area non banale.

Dalla vicenda dell'Ilva c'è dunque una lezione più ampia da trarre. Ridurlo a un caso di criminalità individuale non aiuta a capire. Quella dell'acciaieria di Taranto, e delle morti che ha portato, è storia d'Italia. Conoscerla, e soprattutto capirla, può aiutarci a costruire per il futuro.

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