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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2012 alle ore 12:10.

Cala il sipario su questa legislatura travagliata. Ma si evita il peggio, ossia un salto nel vuoto. I colloqui urgenti di Giorgio Napolitano hanno prodotto il risultato che si voleva: incardinare la crisi politica (e non ancora di governo) lungo un binario sicuro; sollecitare un certo senso di responsabilità dai partiti, persino dal Pdl terremotato da Berlusconi e all'origine dello scompiglio; fissare la data delle elezioni, una volta che il Parlamento avrà approvato la legge di stabilità e pochi altri provvedimenti.

In definitiva voteremo il 10-11 marzo per il Parlamento e il Consiglio regionale della Lombardia. Poco più di un mese prima, il 3-4 febbraio, andrà alle urne il Lazio. Il percorso istituzionale «costruttivo e corretto» è stato dunque individuato nelle sue linee di fondo.
Tutto a posto? Sì e no. L'atmosfera rimane pesante e carica di incognite. L'intervento del capo dello Stato è servito, sì, a concordare tempi e modi del processo elettorale. Ma soprattutto è apparso essenziale per tranquillizzare le cancellerie europee che hanno vissuto trentasei ore di grande sconcerto. Dopo le traversie, sia pure a lieto fine, del decreto sviluppo, si era sparsa la voce che l'Italia fosse in procinto di andare fuori controllo, precipitando nell'instabilità. Purtroppo il nome stesso di Berlusconi, al di là dei confini nazionali, è sinonimo di totale avventurismo. La sola vaga ipotesi che l'ex premier possa condizionare il prossimo governo, o magari determinarlo con i suoi voti e addirittura con la sua persona, suscita allarme.
Per cui l'equilibrio istituzionale di Napolitano può molto, ma non può tutto.

Il problema politico riguarda le proposte che i partiti sapranno formulare. Nonché la loro capacità di parlare al Paese dopo anni di scarso credito. Sappiamo che l'anti-montismo del centrodestra è soprattutto uno spregiudicato argomento di campagna elettorale: se e quanto efficace, si vedrà. Del resto, il gioco di Berlusconi è una carambola a biliardo: l'ex premier gioca la carta anti-Monti e anti-Europa per ricostruire l'alleanza con la Lega. Offrirà a Maroni la candidatura in Lombardia, tentando così di controllare il lombardo-veneto per impedire che al Senato si crei una maggioranza coerente con quella della Camera. Ma su questo, come su altro, decideranno gli elettori.
Di certo il Pdl è tutt'altro che unito sulla svolta anti-europea. Il gruppetto di dissidenti che si è palesato in questi giorni, in nome dei valori tipici del popolarismo europeo, è la spia di un malessere profondo che agita il partito. E il vero problema politico della campagna elettorale tocca il destino della cosiddetta area moderata, cattolica e liberale. Il centrosinistra i suoi conti li ha regolati e si presenta con un'immagine piuttosto solida, incarnata da un Bersani vincitore delle primarie e abbastanza abile da lasciare un po' sullo sfondo l'ingombrante patto con Vendola. Di Berlusconi e della sua deriva si è detto. Resta il centrodestra moderato e «montiano».

Ieri il direttore di "Avvenire" ha scritto parole nette. «La mossa destabilizzante decisa dal partito di Alfano, che il cavaliere è tornato a reclamare come suo, ha già cominciato a sacrificare i sacrifici di tutti. E per sovrappiù sacrifica la prospettiva (...) di una riaggregazione dell'area politica che si richiama al popolarismo europeo tesa a garantire l'altro ed essenziale perno a un sistema bipolare ora sbilenco». È un richiamo a tutti coloro che si richiamano al Ppe, dall'Udc di Casini ai transfughi del Pdl, affinché si diano da fare per organizzare questa vasta area. Ma senza l'impegno diretto e convinto di Mario Monti è difficile immaginare che l'obiettivo possa essere centrato quando mancano tre mesi al voto.
Si è perso troppo tempo e il rischio di perderne dell'altro è molto alto. Il che implica una conseguenza non da sottovalutare: che la legislatura nasca con un forte squilibrio di fondo. Un centrosinistra Bersani-Vendola probabile vincitore, un forte movimento anti-sistema grillino, una componente populista di destra rappresentata dal Pdl berlusconiano. E un centro europeista che a tutt'oggi è ancora un punto interrogativo.

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