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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2012 alle ore 06:58.
L'ultima modifica è del 12 dicembre 2012 alle ore 07:36.

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Dozzine di vertici dei leader europei, di riunioni ministeriali dell'Eurogruppo e dell'Ecofin, di incontri bilaterali, trilaterali e quadrilaterali.
Ma negli ultimi dodici mesi, l'unico vero "game changer", la mossa che ha cambiato le carte in tavola della crisi dell'eurozona, sono state tre parole pronunciate dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, il 26 luglio a Londra: «Whatever it takes». La Bce farà «tutto il necessario» per salvare l'euro, nell'ambito del suo mandato.
In un attimo, Draghi ha rimosso la paura dei mercati, che a quel punto rischiava di finire fuori controllo, di una imminente rottura dell'unione monetaria. E lo ha fatto essendosi assicurato il consenso della politica (non a caso il giorno dopo, il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente francese, François Hollande, ripeteranno la sua frase parola per parola), ma non ancora quella del consiglio della Bce, e prima di aver definito i dettagli dell'intervento. Quelli verranno nel mese successivo, con l'annuncio del programma Omt, di acquisto condizionato, ma potenzialmente illimitato, dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà. Un programma controverso e non privo di pecche, e che finora non è stato ancora attivato. Ma intanto l'intera psicologia della crisi era rovesciata. Ha contato anche il fattore sorpresa, spesso utilizzato da Draghi, al contrario del suo predecessore, che era solito telegrafare le proprie intenzioni con settimane di anticipo. Jean-Claude Trichet aveva fatto della prevedibilità una virtù, Mario Draghi ha fatto il contrario: spiazzando i mercati li ha spesso indotti a venire dalla sua. Come nel caso dell'Omt, che ha calmato la situazione per mesi ancor prima che venisse acquistato un solo titolo.

La Bce è apparsa molto spesso l'unica istituzione europea in grado di decidere qualcosa e di farlo nei tempi richiesti dai mercati finanziari. Lo aveva dimostrato, a cavallo della fine dell'anno scorso e l'inizio di quest'anno, con le due Ltro, le operazioni triennali di finanziamento alle banche, che non hanno risolto il problema del credito all'economia, ma hanno impedito a molti istituti di morire per asfissia della raccolta. I tre ribassi dei tassi (anche di questi, il primo, e forse il secondo, a sorpresa) non hanno raggiunto tutta l'eurozona e lo spazio per agire su questo fronte si è ormai molto ridotto, come ha osservato ieri il capo economista dell'Eurotower, Peter Praet, ma hanno dato un segnale di quel che era pronta a fare la Bce. A gennaio potrebbe essercene un altro.
Certamente, alle soglie del 2013 si presenta una Bce molto diversa da quella che si era affacciata al 2012. La leadership di Draghi ha fatto la differenza, ma anche lui è consapevole che sta avvicinandosi ai limiti del proprio mandato e dell'accettabilità di certe misure, in particolare per la politica e l'opinione pubblica tedesca. Ma soprattutto che le sue mosse rischiano di esser vanificate dall'inazione dei politici. Un richiamo che ha ripetuto più volte e che finora è stato solo parzialmente ascoltato. La Bce può far guadagnare tempo all'eurozona, ma poi questo tempo qualcun altro deve utilizzarlo per fare le cose giuste.

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