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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2012 alle ore 07:08.
L'ultima modifica è del 12 dicembre 2012 alle ore 07:46.

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Sono due i modi per avvicinarsi al prossimo appuntamento elettorale. Uno è chiudere gli occhi e accendere il frullatore delle polemiche. Ne uscirà una poltiglia velenosa, da Paese che ancora non condivide neanche il significato, ed il valore segnaletico, della parola "spread".
Ieri, col botta e risposta di un ex premier (Silvio Berlusconi) e dell'attuale premier (Mario Monti) ne abbiamo avuto una prova. Incredibile a dirsi, mentre il robot Curiosity sgambetta su Marte, occorre ribadire l'importanza del termometro (lo spread) come strumento che misura la febbre finanziaria di una nazione.
Il secondo modo, al contrario, è aprire gli occhi ed entrare nel merito dei fatti e dei problemi. Ne verrà fuori un quadro realistico della situazione nel quale prevedere una contesa politica tra le più difficili della storia italiana e tale comunque da riverberarsi sugli (incompiuti) assetti europei. Così facendo, si rende anche un buon servizio al risparmiatore (ed elettore, aggiungiamo) che Luigi Einaudi definiva uno «strano animale con un cuore di coniglio, gambe di lepre e memoria d'elefante».

Fatti e dati, come dimostra anche il rapporto del Centro Studi Confindustria (CsC), suggeriscono che l'Italia è andata avanti per un verso e s'è bloccata dall'altro. Tredici mesi di governo dei professori capitanato da Mario Monti si sono tradotti in un recupero di credibilità internazionale incisivo in termini di spread calante e di contributo alla stabilizzazione della stessa eurozona. L'immagine del Paese è stata ribaltata ed in meglio. Nella speciale classifica dell'emergenza, a novembre 2011 la Spagna era dietro a noi, oggi è davanti.
La stretta "rigorista" è stata forte ed è stata attuata facendo larghissimo ricorso all'aumento della tassazione più che al taglio della spesa. Il 2012 chiude forse meno peggio del previsto (flessione del Pil a -2,1% invece di -2,4%) ma anche il 2013 (l'anno del pareggio strutturale di bilancio, record italiano, la Germania lo prevede non prima del 2015) finirà intorno a quota -1,1 per cento.

La domanda interna è crollata, i consumi sono a picco, ai minimi dal dopoguerra, la disoccupazione in aumento, il credito scarso, il sistema industriale sulle soglie di una pericolosa destrutturazione, la fiducia generale bassa, la ripresa non prima del 2014. Un Paese «in stress da sopravvivenza», come analizzato dal Censis, nella cui agenda quotidiana (il 17 dicembre scadenza Imu) vede più che altro tasse. Il Csc stima che la pressione fiscale salirà al 45,1% nel 2013 e che quella "effettiva" (cioè reale, al netto del sommerso, per chi le tasse le paga) arriverà nel 2014 al 53,9% del Pil. Aggiungiamoci il ricarico burocratico e l'altalenanza del diritto e la prospettiva si commenta da sola.
Un quadro del genere, sul quale gravano le ombre minacciose dell'incertezza politica che ha già portato sul binario morto parlamentare molti e attesi provvedimenti, può essere oggetto di valutazioni diverse e tutte con una loro dignità interpretativa. Si può sostenere che la flessione dello spread e la rapida messa in sicurezza del Paese non si sarebbe potuta raggiungere se non a prezzo di una drastica e repentina impennata fiscale. Ma d'altra parte non è da gettare alle ortiche la tesi, non sospetta, dell'analista del Financial Times Wolfgang Munchau che ha definito una «bolla» i tredici mesi del governo Monti. Bolla ora scoppiata che metterebbe a nudo un Paese in recessione a sua volta scoppiato per crisi depressiva.

L'esame realistico della situazione, senza sconti o strumentalità accessorie di vario tipo, può aiutare nella definizione dei tracciati più adeguati per uscire dal tunnel. Si tratta in buona sostanza di non cadere nella trappola che contrappone la tecnica alla politica e viceversa, di evitare il dilemma rigore/sviluppo (in Europa e in Italia) allo stesso modo in cui (vedi il caso Ilva) salute e lavoro non possono tradursi l'una nell'alternativa dell'altro. Si tratta di far ripartire un Paese fermo in deficit di produttività e fiducia e che ha nel settore manifatturiero un punto di forza che non può essere lasciato alla deriva. Vanno ricostituite le condizioni perché si possa scommettere, per fare solo due esempi, sull'apertura di un'impresa o l'iscrizione all'università di un figlio.
Niente promesse a vuoto, niente bacchette più o meno magiche chiunque sia il direttore d'orchestra, nessun arrocco personale. Solo percorsi chiari e proposte definite all'insegna di un riformismo pragmatico e, per questo, efficiente.

twitter@guidogentili1

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