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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2012 alle ore 22:18.

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Gianni Brera con Gianni Rivera (Olycom)Gianni Brera con Gianni Rivera (Olycom)

di Dario Ceccarelli

Come suona strano scrivere di Gianni Brera, morto in uno schianto automobilistico, a due passi da casa, mentre tornava da una delle sue mitologiche zingarate gastronomiche. Era il 19 dicembre 1992, vent'anni fa, quindi. Brera aveva 73 anni. Un'eta' ragguardevole, che impone bilanci, che però non gli aveva ancora spento il fuoco della curiosità. Ma come ricorda l'amico e biografo Andrea Maietti, Brera "guardava il mondo da lontano" e anche il calcio non lo ispirava piu". Ne scriveva e ne parlava, certo. Ma i tempi stavano cambiando. Il libero e il catenaccio, due suoi celebri cavalli di battaglia, erano retaggi del passato. Roba vecchia, spazzata via dal vento iconoclasta di Arrigo Sacchi e dei suoi emuli, che erano tanti, come sempre sono tanti quelli pronti salire sul carro dei vincitori.

Brera lo sapeva. Sapeva che la ruota stava girando, che gli italiani, mangiando bistecche come gli olandesi e tedeschi, potevano giocare a viso aperto senza sfinirsi anzitempo. Era perfino dovuto andare a piedi scalzi da casa sua a un santuario mariano come penitenza per aver detto che l'Italia non avrebbe mai vinto il campionato del mondo in Spagna nel 1982.

Brera lo sapeva. E si vendicava suo modo storpiando il nome di Arrigo Sacchi, il teorico del football senza paura. L'allenatore che anche quando va a Madrid occupa la metà campo dei Galacticos. Brera lo chiamava Righetto per dire che il vate di Fusignano era solo uno scolaretto pedante che ripeteva i suoi slogan fino alla nausea. "Intensità","concentrazione", "organizzazione". Tanto Sacchi li ripetè che una volta, durante un allenamento, Marco Van Basten, il più raffinato del trio olandese, la vera forza del Milan secondo Brera, mandò Righetto a quel paese, cioè in quel di Fusignano.

Ma questo era il crepuscolo del grande Gioannbrerafucarlo, come lui amava presentarsi con un pizzico di rude civetteria terragna. E ora, 20 anni dopo, non è facile ricordare, soprattuto ai ragazzi e agli ex ragazzi degli anni Ottanta, chi sia stato Gianni Brera.

Primo perchè si rischia di beatificarlo: cosa che lui, detestando i tromboni, avrebbe poco gradito. Il maestro, come tutti quelli che hanno carattere, non aveva un buon carattere. A chi la faceva lunga, o esagerava in riverenze, Brera rispondeva con un dotto "Ma andee a scoa` el mar!" che non ha bisogno di traduzione.

Secondo perchè, se Dio vuole, anche i Migliori hanno i loro difetti. E il vecchio Gioann qualcuno ne aveva: una sanguigna passionalità che sconfinava nella testardaggine, un virtuosismo lessicale che a volte ti sfiniva, e quella sua idea, un po' compiaciuta, che nulla cambia o cambierà. Abatini siamo e abatini restemo, secula secolorum, come direbbe il Maestro dando la benedizione agli adoranti seduti al desco.

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