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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2012 alle ore 08:06.
L'ultima modifica è del 22 dicembre 2012 alle ore 09:46.

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È dai tempi in cui il popolo ebraico, ai piedi del monte Sinai, ricevette da Mosè i dieci comandamenti che l'attesa di un decalogo non è cosi carica di ansia ed incertezza . Una grande fetta dei politici italiani attende il decalogo Monti ed il suo Mosè, che conduca loro verso la terra promessa, dove il Pil cresce al ritmo del 3% l'anno, lo spread è di 30 punti base, e i politici vengono rieletti senza tanti patemi d'animo. Ma quali saranno i dieci comandamenti montiani?

Se dobbiamo cercare di indovinarle dall'esperienza di un anno di governo del professore, le indicazioni sono chiare. Un europeismo spinto al punto di una totale identificazione con (sottomissione a) l'agenda Merkel. Un rigore di bilancio fatto di aumenti di imposte, non di riduzioni delle spese. Qualche liberalizzazione e deregolamentazione cosmetica da sfoggiare nei meeting internazionali. Una totale difesa della classe dirigente e politica attuale. Una prospettiva eccitante solo per Fini, Casini, e pochi altri.

Questa previsione è sicuramente ingiusta. Durante quest'anno di governo Monti è stato fortemente limitato nella sua azione dalla coalizione che lo sosteneva. Ora non più. Finalmente Monti può tracciare la sua agenda ideale, libero da questi vincoli. Per cercare di capire quale potrebbe essere questa agenda basta guardare al Monti professore e al Monti Commissario Europeo. Da professore Monti è sempre stato un liberista, più vicino ai neoclassici supply sider che ai keynesiani. L'agenda del Monti professore non potrebbe che essere fatta di tagli di imposte, soprattutto sul lavoro e sull'impresa. Ma siccome il Monti professore è stato sempre molto critico dei deficit di bilancio, oltre ai tagli fiscali la sua agenda conterrebbe uguali tagli della spesa pubblica. Questa agenda comprenderebbe anche la privatizzazione delle imprese statali e municipali, la liberalizzazione delle professioni e dei servizi (e non solo dei taxi), il taglio dei sussidi alle imprese (come suggeriti dal suo collega Giavazzi). Il Monti liberale che crede nella flessibilità del mercato sosterrebbe l'abbandono della contrattazione salariale nazionale a favore della contrattazione aziendale. Per finire il Monti professore ha sempre prediletto l'uso dei meccanismi di mercato laddove possibile, perché eliminano i sussidi impliciti e le posizioni di rendita. L'agenda del Monti professore dovrebbe quindi prevedere aste competitive per le concessioni statali, siano esse delle spiagge, dei treni, o delle reti televisive.

Da commissario Monti è stato un "trust buster", un nemico degli oligopoli ed un rigoroso censore dei sussidi statali alle imprese mascherati sotto forma di garanzie (esplicite o implicite) sui prestiti da parte dello stato (vedi il suo intervento sulle Landesbank tedesche). L'agenda del Monti commissario non potrebbe quindi che contenere una guerra spietata ai grandi oligopoli nazionali, dalle assicurazioni alle banche, e agli intrecci azionari tra fondazioni, banche ed imprese. L'agenda del Monti commissario europeo infine dovrebbe contenere anche un forte ridimensionamento del ruolo della Cassa depositi e prestiti, che oggi gode proprio di quei sussidi impliciti tanto odiati dal professore.

Ma come riceverebbe il Grande Centro questa agenda? Potrebbero Fini e Casini, che sono vissuti politicamente sulla spesa pubblica al Sud, sostenere questa agenda? Potrebbero Bonanni e Olivero difendere il ridimensionamento del sindacato che questa comporterebbe? O potrebbe accettarla un Montezemolo, che beneficia di una concessione (lui preferisce chiamarla autorizzazione) pubblica non messa all'asta? Potrebbe questa agenda trovare il sostengo di un Passera, artefice delle operazioni di sistema basate sulla compartecipazione (in altri paesi si direbbe collusione) di tutti i grandi operatori finanziari?

Quando Mosè scese dal monte Sinai con le famose tavole trovò un popolo non pronto a riceverle. Nell'attesa delle tavole gli ebrei avevano costruito un vitello d'oro e si erano messi ad adorarlo. «Mosè si pose alla porta dell'accampamento - scrive la Bibbia - e disse: "Chi sta con il Signore, venga da me!" E poi aggiunse "Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell'accampamento da una porta all'altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio vicino». In altre parole, per fare accettare le dieci tavole, Mosè dovette mettersi a capo del suo popolo ed essere pronto alla guerra, anche interna, contro coloro che adoravano i falsi idoli.

Se questo fu il compito di Mosè, guidato da Dio, è difficile immaginarsi che Monti, che al massimo può vantare il supporto del Vaticano, possa fare diversamente. Per condurre il nostro popolo verso la terra promessa deve avere la forza di eliminare politicamente gli adoratori di falsi idoli. Altrimenti invece che come salvatore, Monti rischia di essere ricordato come una brava persona che nel tentativo di riformare il Paese finì involontariamente per prolungare il potere delle lobby della Seconda Repubblica.

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