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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2012 alle ore 08:11.

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Nel giorno in cui il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble dichiara che «grazie al Governo di Mario Monti l'Italia ha compiuto progressi enormi nell'ultimo anno» e riconferma il pieno (ed assai ingombrante) appoggio al premier italiano, l'Istat certifica che la fiducia delle famiglie è a picco, ai minimi storici.

Sono le due facce della stessa medaglia appuntata sul bilancio dell'esecutivo dei professori. Il rigore, da un lato, la mancata crescita (più che in numeri, visto che siamo in recessione, in termini di prospettiva) dall'altro. Dal decreto "Salva-Italia" (con la svolta sulle pensioni) al passo d'addio (o di arrivederci, a seconda dell'esito delle elezioni) in questo convulso finale di legislatura, meriti e demeriti, intuizioni positive ed occasioni mancate si fronteggiano. E tutto si può fare meno che darne una lettura di comodo in un senso o nell'altro.

Che la stagione del "rigore" sui conti pubblici abbia portato a risultati eccellenti in breve tempo è un fatto. È accaduto per lo spread, termometro fedele dei mercati: partivamo da quota 574, oggi siamo a 310 e dietro la Spagna. È accaduto per il tasso di considerazione politica dell'Italia in Europa. Eravamo ai livelli della nave "Concordia" semi-inabissata a ridosso dell'isola del Giglio, una delle foto-simbolo del 2012. Ora non lo siamo più, abbiamo ripreso la rotta. E se è vero che l'euro è stato salvato, in generale, dalla nuova Bce a trazione Mario Draghi, è altrettanto un dato che essere riusciti a disinnescare la mina-Italia sotto il tavolo dell'Eurozona ha contribuito in modo decisivo a non far esplodere l'intero sistema.

Il pareggio di bilancio, introdotto in Costituzione e anticipato al 2013, suggella questo cambio di passo dell'Italia.

Il "rigore" trova qui il suo risvolto percepibile "urbi et orbi" nonostante qualche astuzia (nella legge sta scritta la parola "equilibrio"). Sotto questo profilo, l'impresa di Monti e della "strana" maggioranza che lo ha appoggiato fino all'ultimo atto – l'approvazione di una legge di stabilità con più difetti che pregi – è stata notevole. Ne viene fuori agli occhi del mondo il profilo di un Paese non pasticcione e non parolaio, che si allinea disciplinatamente al Fiscal compact europeo.

È il profilo che piace non a caso a Berlino, azionista di riferimento di un'Europa incompiuta, in deficit di democrazia e lenta a riavviare i motori della crescita e che tuttavia non fa sconti. Men che meno all'Italia che pure già si presentava a Bruxelles con un avanzo statale primario (al netto della spesa per interessi) cumulato dal 1993 al 2013 pari a 700 miliardi di euro. Un record assoluto.

Molto rigore, troppo rigore, nessuna crescita? E poteva fare di più il Governo dei professori per rafforzare l'idea del cambio di passo? Cominciamo da questa seconda domanda: la risposta è sì, poteva fare di più. Sui terreni delle liberalizzazioni, della ricerca, delle professioni, della semplificazione normativa, dei servizi pubblici locali, dei costi della politica, del contenimento della spesa pubblica corrente in generale.

Ma dopo il decreto "Salva-Italia" già il secondo appuntamento del 24 gennaio scorso col "Cresci-Italia" fece capire che a fronte delle previste resistenze sulle riforme per aprire i mercati il Governo poteva e volare osare, sì, ma fino ad un certo punto. Dunque abbiamo avuti ritocchi e progetti, ma non quella svolta pragmatica e liberale minimamente paragonabile per intensità a quella del "rigore". Risultato: la legislatura si è chiusa, mestamente, con la proroga per nulla europea delle concessioni balneari e con l'evaporazione dei tagli delle province.

E ancora peggio è andata, come documentato più volte dal Sole 24 Ore, con la riforma del mercato del lavoro, altro caposaldo del programma: si è ridotta la flessibilità in entrata.

Quanto al "troppo" rigore, questo vuol dire in realtà troppe tasse e troppe tasse finiscono per deprimere ulteriormente un'economia già depressa. L'austerity in salsa euro-tedesca è considerata come è noto una sciagura dal premio Nobel Paul Krugman e anche il Fondo Monetario, in assetto revisionista, ne ha messo in evidenza i negativi effetti moltiplicativi peggiori del previsto. Ma basta guardarsi attorno e dare un'occhiata all'economia reale, quella delle persone in carne e ossa che non spendono, non consumano e non trovano lavoro, e quella di un tessuto industriale che rischia la decomposizione, per avere la conferma che il Paese è bloccato sotto una lastra ghiacciata di austerità fondata, in particolare, su una pressione fiscale insostenibile.

Tredici mesi «difficili ma affascinanti», ha detto il premier Mario Monti. Sghiacciare questo Paese senza perdere la credibilità riconquistata è la prossima scommessa. Non sappiamo quanto affascinante, di sicuro ancora più difficile di quella conclusasi ieri.

@guidogentili1

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