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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2013 alle ore 09:08.
L'ultima modifica è del 12 gennaio 2013 alle ore 09:09.

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Il giusto equilibrio tra aggiustamento e crescita è da tempo argomento all'ordine del giorno nella risposta alla crisi dell'euro, figurando in primo piano anche nel dibattito elettorale italiano. Gli argomenti sono però spesso manichei, se non largamente emotivi, come denotano le parole «rigore» e «austerità». Se la scelta fosse semplicemente tra austerità e crescita, chi mai sceglierebbe la prima? Evidentemente, le cose non sono così semplici e non si tratta di una facile scelta tra due opzioni binarie.

Ben venga quindi un lavoro di ricerca approfondito che cerchi di far luce sulla questione. A maggior ragione quando il lavoro è firmato da un economista rinomato e protagonista di rilievo nella gestione della crisi, qual è il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard. È di questi giorni un suo paper, con co-autore Daniel Leigh del dipartimento ricerca del Fmi, dal titolo astruso («Errori Previsionali di Crescita e Moltiplicatori Fiscali») ma dal contenuto concreto. La ricerca fa seguito a – e conferma – uno studio già apparso nel World Economic Outlook dell'ottobre scorso, che indicava come i piani di aggiustamento fiscale nella zona euro avevano avuto un impatto negativo sulla crescita nettamente superiore a quanto originariamente stimato.

Va innanzitutto riconosciuto al Fmi il merito di essere disposto a mettere in discussione il proprio lavoro e riconoscere eventuali errori. Paul Krugman, solitamente non tenero col Fondo, lo ha fatto, aggiungendo: «La cosa più inquietante è quanti pochi altri protagonisti siano disposti a fare altrettanto», additando i leader europei.

Quali, in sostanza, le conclusioni del paper di Blanchard-Leigh? Si tratta, come intitolato con clamore dal Washington Post, di «uno sbalorditivo mea culpa del capo economista Fmi sull'austerità» o, più modestamente, di uno studio tecnico le cui implicazioni di politica economica sono limitate, come suggerito dal Financial Times? Vi è della verità in entrambe le letture. Il lavoro verte sulla stima dei moltiplicatori fiscali, cioè del rapporto fra una riduzione del deficit pubblico e la crescita dell'economia. I modelli usati dalla troika per i programmi di aggiustamento dei Paesi euro si basavano su un moltiplicatore intorno allo 0,5: cioè stimavano che un punto di taglio nel deficit avrebbe implicato una minore crescita di circa mezzo punto.

Lo studio di Blanchard-Leigh conclude che «i moltiplicatori impliciti nelle previsioni erano sottostimati, in media, di circa un'unità». Passare da un moltiplicatore inferiore all'unità a uno superiore è un valico decisivo. Significa che ogni taglio del deficit comprime la crescita in misura maggiore – nella fattispecie, una volta e mezzo in più. Un errore previsionale notevole, con conseguenze drammatiche.

Per spiegare l'abbaglio, Blanchard elenca vari fattori straordinari della Grande Recessione: tassi d'interesse già prossimi allo zero, e quindi l'impossibilità di controbilanciare l'azione fiscale con la politica monetaria; un sistema finanziario inefficiente, che ha fatto sì che i consumi siano dipesi maggiormente dal reddito attuale che da quello futuro; la presenza di ampie risorse inutilizzate; e la sincronizzazione continentale delle politiche di aggiustamento. Tutti fattori propri della crisi dell'euro che hanno inficiato le stime vigenti dei moltiplicatori.

Lo studio darebbe quindi ragione ai tanti oppositori - anche nostrani - delle politiche di aggiustamento? Saranno delusi. Blanchard ribadisce che l'aggiustamento dei conti pubblici resta essenziale in quasi tutte le economie avanzate e che l'effetto a breve termine sulla crescita è solo uno dei fattori da considerare nel determinare il ritmo di risanamento appropriato.

Nel contempo, avverte che – seppure i moltiplicatori paiono essere ridiscesi nel 2011-12 rispetto all'inizio della crisi – è per ora prudente assumere che siano ancora elevati. In questo quadro, il Fondo ripete da tempo che il risanamento dei conti è una maratona, non uno sprint, e si è fatto paladino all'interno della troika di un cauto gradualismo nell'aggiustamento, purché vi siano programmi di rientro credibili (cioé legiferati) a medio termine.

Che significa tutto ciò per l'Italia? Si ricordi che l'Fmi ha già giudicato «appropriato» il ritmo di correzione previsto per il 2012-13, appoggiando l'enfasi su obiettivi strutturali (corretti dal ciclo), in modo da tener conto dell'andamento dell'economia reale.

Ha però largamente criticato la composizione del risanamento, invocando maggiori tagli alla spesa per permettere tra l'altro una riduzione dell'imposizione sul lavoro – che è la vera anomalia italiana (e non l'Imu, presente ovunque). Ha anche richiamato più volte a una migliore utilizzazione del patrimonio pubblico, tramite le dismissioni.

Meglio infine se il rientro è blindato da legislazione di medio periodo. Sono questi i veri nodi sui quali dovrebbero misurarsi i partiti in competizione per il prossimo voto degli italiani.

alessandro.leipold@lisboncouncil.net
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