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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2013 alle ore 08:08.
L'ultima modifica è del 18 gennaio 2013 alle ore 08:35.

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«Carmageddon», ovvero l'armageddon dell'auto. A Wall Street ogni crisi porta un nome, e Carmageddon è quello appena coniato per il mercato europeo dell'auto.

Del resto, le dimensioni assunte dalla crisi, come ha messo in evidenza ieri lo stesso Sergio Marchionne, confermano che i problemi dell'industria automobilistica non sono più nazionali e che la soluzione va ricercata su una scala più vasta.

A preoccupare non è solo il fatto che le vendite di auto in Europa siano cadute ai livelli di 17 anni fa, ma soprattutto la mancanza di una risposta comune alla crisi dei produttori: ci sono case che soffrono di più altre che soffrono di meno, ma è un dato di fatto che le perdite cumulate dei grandi marchi sul mercato europeo dovrebbero aver raggiunto i 5 miliardi di euro a fine 2012. Crollo della domanda ed eccesso di produzione sono problemi comuni che richiedono soluzioni concordate: si parla spesso di Melfi e Pomigliano, ma in Europa sono almeno 20 le fabbriche di automobili che stanno lavorando a meno del 50% della loro capacità produttiva.

Ieri, Marchionne ha conquistato la comunità finanziaria proprio inquadrando i problemi della Fiat con quelli dell'intero settore: la necessità di arrivare a «soluzioni condivise con l'Europa» al nodo della sovrapproduzione ha fatto salire il titolo Fiat di oltre il 6% e quelli dei concorrenti in misura di poco inferiore. Finalmente, la crisi del mercato dell'auto non viene più inquadrata solo come un problema italiano o spagnolo, ma come una sfida per l'intera industria europea: chi pensa che il crollo delle vendite sia solo una questione temporanea rischia solo di rinviare soluzioni più strutturali.

Con la richiesta di un'azione europea Marchionne ha fatto capire che questa crisi potrebbe durare almeno un decennio, e che sarà difficile tornare a livelli di vendite come quelli del 2007, quando si raggiunsero i 15 milioni di veicoli venduti. Oggi siamo intorno agli 11 milioni, e le prospettive sono note: altri cali per almeno due anni. La sensazione è che il mercato europeo sia vicino a una saturazione, e che i mutamenti demografici, economici e tecnologici abbiano una fisionomia strutturale e non solo congiunturale.

Sulle vendite di nuove auto non pesa solo la crisi occupazionale, ma anche quella demografica. E poi ci sono nuovi concorrenti, come i treni ad alta velocità: la gente non solo viaggia meno in aereo, ma usa anche meno l'autostrada: non c'è Paese europeo che non abbia registrato un calo dei pedaggi. Ebbene, Marchionne ha di fatto messo in evidenza la gravità di questa situazione e il mercato lo ha ascoltato non come il capo azienda della Fiat, ma come il leader dell'intera industria europea dell'auto. In questo senso, è stato importante non solo aver spronato l'Europa a trovare soluzioni, ma anche l'intera industria: il capo della Fiat è anche presidente dell'associazione europea dell'auto, dove finora sono state registrate fin troppe divisioni. I grandi gruppi tedeschi si sono infatti opposti finora alla ricerca di una soluzione concordata a livello europeo, ma come è avvenuto per la crisi del debito è solo un'azione comune quella che può essere risolutiva.

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