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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2013 alle ore 19:00.

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(Afp)(Afp)

All'inizio fu l'Afghanistan: così potrebbe cominciare una storia, sia pure incompleta e parziale, del terrorismo islamico di marca algerina. Anche Mokhthar Belmokhtar, quarantenne originario di Ghardaia, il mandante della spietata operazione di In Amenas, viene da quella vicenda: si vanta di essere stato nel '91, a 19 anni, un combattente tra le montagne dell'Hindukush dove avrebbe perso un occhio per una scheggia di proiettile.

Probabilmente è vero ma questo Mullah Omar del Sahel appartiene alla seconda generazione di quelli che andarono nei campi di addestramento dei jihasti negli anni'90. I primi terroristi algerini definiti "afghani" per la loro militanza contro l'Armata Rossa negli anni'80 compaiono sulla scena dopo il colpo di stato dei generali nel gennaio '92, quando i militari decisero di cancellare la prima tornata elettorale che aveva visto la vittoria del Fronte islamico di Salvezza (Fis).

Gli algerini reduci dall'Afghanistan costituivano un gruppo numeroso. Con il ritiro dell'Armata Rossa nell'89 tornarono in patria: fu così che quando i generali liberarono dal carcere migliaia di militanti, con una decisione assai ambigua e indecifrabile, gli "afghani" trovarono terreno fertile per reclutare adepti della lotta armata.

Si preparavano così gli anni piombo algerini: 200mila i morti, migliaia gli scomparsi, gente di cui non si sa più nulla.
In Algeria la galassia dei combattenti era assai vasta, i metodi andavano dagli attentati dinamitardi, agli agguati con i mitra, agli assalti all'arma bianca con decapitazioni e sgozzamenti. Tutti e tutto potevano essere un bersaglio: dalle forze di sicurezza alla gente comune, dai cittadini stranieri ai lavoratori migranti, dai giornalisti agli intellettuali, dai tecnici agli operai: fu decapitata un'intera classe dirigente, spingendo all'esilio migliaia di persone. Per un decennio l'Algeria venne strangolata dalla paura.
Ma gas e petrolio continuavano a scorrere: rarissimi i casi in cui si interruppe la produzione per qualche attentato. Il gasdotto Transmed collegava l'Algeria "utile", la cassaforte dell'energia, all'Italia, all'Occidente e ai mercati internazionali.

Belmokhtar viene da questa storia. La repressione del terrorismo fu spietata quasi quanto l'efferatezza degli islamici e impiegò ogni mezzo, anche i peggiori, per battere gli islamici: questa è stata una guerra sporca, in gran parte sconociuta e che non è mai finita.

I gruppi combattenti furono ricacciati verso il Sud del Sahara o in aree impervie come la Cabilia dei berberi. A cavallo tra il Sahara e il Sahel trovarono nuovi santuari gli algerini del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc) che più tardi, nel 2007, darà vita ad Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi).

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