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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2013 alle ore 07:31.

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Il doppio comunicato con cui il Tesoro e la Banca d'Italia hanno smentito contrasti sulla vicenda Mps ha aiutato a depotenziare quello che si stava già prospettando come un pericoloso scontro istituzionale. L'ennesimo, forse il più grave, in questi giorni in cui la campagna elettorale riunisce in una miscela esplosiva swap e propaganda, casi gravi di malaffare e rischi di sistema.

"Responsabilità" è la parola chiave per maneggiare questa ennesima bufera che scoppia intorno al mondo finanziario e investe in pieno la politica alla vigilia di una prova elettorale difficile. Una responsabilità che deve essere prima di tutto delle istituzioni coinvolte, che devono aver cura dell'effetto di parole che una volta entrate nel circuito dell'informazione acquisiscono significati che vanno spesso oltre le intenzioni. Responsabilità, ancora di più, delle forze politiche, che farebbero bene a sfuggire alla tentazione di utilizzare a fini elettorali questa vicenda.
Il rischio è quello di compromettere l'immagine del Paese e delle sue banche. Di estendere ombre su tutto un sistema finanziario italiano che si è dimostrato in questi anni tra i meno esposti - pur non essendone immune - alla finanza tossica. Di far passare per aiuti di Stato, quello che è un prestito concordato con la Commissione europea e deliberato su sollecitazione della Banca d'Italia sulla base dei criteri fissati dall'Eba.

Tutto questo non toglie nulla alla gravità della vicenda Mps. È un bene che la magistratura, non da oggi, abbia acceso più di un faro sulla gestione opaca del Monte da parte dei suoi ex vertici. Così come è un bene che il «Fatto quotidiano» abbia alzato, per primo, il velo su contratti e azioni finora tenuti nascosti agli organi direttivi della banca stessa.
Sono comportamenti opachi, forse anche ben più che opachi, sui quali i magistrati devono fare chiarezza fino in fondo. I magistrati e, nel suo ruolo di vigilante, la Banca d'Italia, che non a caso in un recente passato ha sollecitato il ricambio di vertici nei quali evidentemente non aveva più fiducia.
Chi ha sbagliato deve pagare. Con severità. Perché può aver contributo a trascinare una istituzione secolare in una crisi drammatica. Mettendo a rischio i suoi tanti risparmiatori e, soprattutto, mettendo in ginocchio un intero sistema economico che ruotava intorno a questo grande polmone finanziario. Quanti piccoli e medi imprenditori in questi anni si sono visti rifiutare un prestito dal Monte e per quanto tempo ancora dovranno cercare ossigeno altrove, per non chiudere, per non licenziare i propri dipendenti. Ecco la responsabilità principale di chi ha pensato di costruirsi carriere, maneggiando, senza troppa cura, ardite scalate bancarie (leggasi Antonveneta) e costosi strumenti di maquillage finanziario.

La presenza di responsabilità giudiziarie sarà chiarita dai magistrati. C'è un punto, però, che la politica non può più ignorare. Il Monte dei Paschi è l'ultima grande banca ad avere un controllo diretto e invasivo da parte dei partiti (il Pd in questo caso), attraverso l'ente locale e la fondazione di riferimento. Sono legami che vanno spezzati.
Quanto ha influito nella cattiva gestione l'intreccio con interessi estranei a quelli bancari? È possibile che i vertici della banca abbiano ritenuto di avere una sorta di legittimazione speciale, che gli veniva dall'investitura da parte del partito. Un mandato che andava oltre quello della dirigenza di una "normale" società, una licenza per comportamenti inaccettabili, come quelli di non portare davanti agli organi collegiali operazioni rilevanti e potenzialmente devastanti come quella emersa in questi giorni.
Ecco perché la vicenda Mps non è un caso da campagna elettorale, ma una priorità post elettorale per chiunque vinca le elezioni.

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