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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2013 alle ore 08:10.

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Il nuovo scandalo-derivati scoppiato ieri a Londra, dove non da oggi è palese la contaminazione che aggredisce tutto il sistema bancario, contribuisce per differenza a riportare nella dimensione che gli è propria il caso Monte dei Paschi di Siena. Una vicenda gravissima, a suo modo anch'essa sistemica (in particolare per lo storico, consolidato intreccio con la politica, locale e nazionale) ma che al di là delle dovute rassicurazioni istituzionali non è la portabandiera di un sistema bancario bacato alle radici.

Questo non significa, come vedremo, scrollarsi di dosso i problemi che il caso della banca senese (il terzo istituto di credito italiano con cinque secoli di storia alle spalle ridottosi a far parlare di sé come il Monte dei "Fiaschi"), pone con forza ineludibile. Vuol dire, invece, usare il bisturi e non alzare quei polveroni che alla fine servono proprio a non far scrivere praticamente mai la parola "fine" stabilendo qualche certezza. Esercizio in cui il Paese purtroppo eccelle, come dimostrano pagine anche tragiche della nostra storia.

A maggior ragione questo realismo fattuale, il solo che in definitiva può condurre ai cambiamenti che sono necessari, deve farsi strada nel particolare momento che viviamo. Una confusa campagna elettorale è in corso e l'Italia, piaccia o no, resta una "sorvegliata speciale". Dell'Europa e dei mercati finanziari di tutto il mondo: due realtà che comunicano anche a colpi di tassi d'interesse e nelle quali s'incontrano e si scontrano formidabili interessi, pubblici e privati.

Ieri (con lo spread risalito improvvisamente oltre quota 270 e poi ridisceso) e l'altro ieri (caso Saipem) ne abbiamo avuto prova a suon di numeri. Siamo in una stagione, anche di belligeranza valutaria, in cui nulla è scontato. L'Italia è un Paese esposto come tutti gli altri ed un po' di più, se vogliamo, oltre gli storici gap in termini di debito pubblico, pressione fiscale, mancata crescita, giustizia civile, burocrazia invadente. Il presidente (italiano) della Bce Mario Draghi, il timoniere pragmatico che nel 2012 ha scritto la rotta per il salvataggio dell'eurozona, ha potuto constatarlo sulla sua persona. Diversi giornali tedeschi e non solo hanno focalizzato la loro attenzione sugli anni in cui, da Governatore della Banca d'Italia, sovrintendeva alla vigilanza bancaria, in particolare quella sul Monte Paschi, oggi re nudo con le gambe malferme e bisognoso di risorse pubbliche. È il segno, ancora una volta, che le dure battaglie sottotraccia proseguono anche in Europa.

È questo contesto che occorre tenere nel massimo conto nell'"interesse nazionale" richiamato dallo stesso Presidente Giorgio Napolitano nel colloquio con il Sole 24 Ore. I polveroni non aiutano il cambiamento. Semmai lo rallentano, quando non lo impediscono del tutto. Ed il caso Monte Paschi, a seconda della piega che prenderà, ne sarà una prova esemplare. Intendiamoci. L'operazione AntonVeneta (da oltre 9 miliardi cash) che ha messo in ginocchio la banca senese ha fatto emergere una casistica pressoché infinita di guai e buchi di governance fino a ieri inimmaginabili. È uno scandalo in cui nessuno, per la parte che gli compete, può sottrarsi in termini di responsabilità. Non può farlo la politica, a partire dalla sinistra. Non può sottrarsi all'autocritica la stessa comunità dei banchieri che a luglio 2012 ha confermato al vertice dell'Abi Giuseppe Mussari, che qualche mese prima, grazie alla moral suasion di Bankitalia guidata da Ignazio Visco, aveva dovuto lasciare la presidenza del Monte.

Ma un conto è discutere in piena trasparenza sui fatti e nel merito (ad esempio: Bankitalia, che pure ha dimostrato di aver compiuto il suo dovere di vigilante, non poteva accorciare i tempi del suo intervento per costringere il vecchio management della banca a lasciare?) ed un altro è stabilire l'equivalenza per la quale il Monte dei Paschi è lo specchio in frantumi dell'intero sistema bancario italiano e che i controllori non hanno controllato alcunché. Una notte tutta nera buona per un Paese che vuole restare al buio.
E se è vero che non possiamo neanche ipotizzare che sia una piccola banda di alti funzionari del Monte l'origine e la causa del tracollo della terza banca italiana, è altrettanto un dato che la sgangherata rincorsa geografica e giurisdizionale a tutti i reati possibili riporta alla notte nera di cui sopra. E dove non c'è la luce dei fatti non può esserci giustizia.

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