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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2013 alle ore 12:13.

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La mappa della comunità cinese in Italia
I cinesi, dice la Camera di Commercio, preferiscono le città. Oltre il 21% delle attività si concentra in sette grandi centri (Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino). Un'imprenditoria urbana e di recente costituzione: con oltre nove imprese su dieci nate dopo il 2000. In cui la presenza di donne (43,9%) e giovani (49%) è molto più alta della media italiana (26%). Nel 2012, ogni giorno son nate due nuove imprese cinesi a Milano e una a Roma. Napoli è la città dove, in dieci anni, la comunità imprenditoriale cinese è cresciuta di più: +691,7% contro una media nazionale del 231,7%; Milano quella che concentra il maggior numero di imprenditori: circa 2.800 aziende, il 7% del totale nazionale (è cinese il 5,3% delle piccole imprese milanesi).
Il 70% dell'imprenditoria si concentra nei servizi. Se a Palermo il 95% delle società cinesi opera nel commercio al dettaglio, a Firenze ci si occupa soprattutto di fabbricazione di articoli in pelle (67%), mentre a Milano i bar cinesi battono i ristoranti (17,5% contro 9,6%) e il 15% delle imprese è ormai un parrucchiere o un centro massaggi. Per gli italiani che intendono fare affari, non c'è che da pubblicizzare l'offerta.

Come vanno le compravendite immobiliari?
L'acquisto di un'abitazione rappresenta per gli immigrati – come sottolinea Scenari Immobiliari – l'uscita dall'incertezza dell'affitto, ma anche la possibilità di una maggiore integrazione (agevolando il ricongiungimento familiare), oltre che un vero e proprio investimento (a parità di spesa mensile con il canone). Il più aggiornato rapporto di Scenari Immobiliari, in riferimento al 2012, spiega che i cinesi sostengono il 13,5% degli scambi (47mila compravendite), e si piazzano dietro agli immigrati di provenienza est-europea (52,1%) e agli asiatici di area indiana (15%). Gli acquisti, che per il 70% si localizzano al Nord (la Lombardia ricopre quasi un quinto del mercato), sono però in calo rispetto al 2011 di circa il 21 per cento.
Nello specifico, il peso dei cinesi sul totale degli acquisti con immigrati è lievemente in calo negli ultimi anni (rispetto al 16% del 2007 o al 16,6% del 2008, ad esempio), in parte per l'atteggiamento della domanda che si è rivolta più al mercato degli affitti. Anche se – sottolinea il rapporto - il dato è probabilmente sottostimato perché le comunità cinesi utilizzano sempre più canali propri e proprie agenzie, sfuggendo alle rilevazioni dell'Osservatorio. Appunto.

Gli immobili di lusso? Meglio un uliveto con masseria
Pochi giorni fa, a Pechino e Shangai, si è tenuto il Seminario sugli investimenti real estate in Italia, organizzato dal organizzato dal gruppo World Capital in collaborazione con l'ambasciata italiana in Cina. Il messaggio: il settore immobiliare italiano è stabile e offre grandi prospettive per gli investitori cinesi. «Il real estate non è solo per i cinesi ricchi - ha affermato Antonino Laspina, il coordinatore degli uffici ICE in Cina - ma anche per le imprese cinesi che vogliono insediarsi in Italia».
Vero. Però proprio ai cinesi ricchi si rivolgono molte agenzie immobiliari. La Chiave d'Oro, ad esempio, è specializzata nelle vendite di immobili di prestigio. La titolare Iryna Herasymenko lavora da diversi anni con i russi interessati alle ville liguri o toscane, o affacciate sui laghi. «Dall'anno scorso ci siamo però aperti anche alla domanda dei cinesi, su richiesta dei venditori italiani» racconta l'architetto e collaboratore Renato Scarano. Il potenziale acquirente russo che si rivolge al mercato immobiliare italiano ricerca di solito una seconda casa di pregio. «L'acquirente cinese è invece spesso un imprenditore che punta ad aziende produttive "made in Italy"». All'uliveto e al vigneto, oltre all'immobile lussuoso. « In Cina va molto di moda il vino Doc italiano, così come l'olio. Gli imprenditori chiedono aziende con imbottigliamento, trattamento, marchio. Così li accompagniamo tra le aziende agricole di Toscana, Umbria, Marche».

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