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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2013 alle ore 16:19.
Veniamo alle vicende di casa nostra. Il ritorno sulla scena di Silvio Berlusconi ha provocato reazioni non proprio lusinghiere in Europa.
Guardi, io sono stato indicato dal governo Berlusconi. La scelta è caduta su un uomo politico che da quindici anni lavora in Europa. Mi pare una scelta pienamente europeista e decisamente a favore dell'economia reale. Ricordo quel che mi disse Berlusconi: dai il meglio di te, lavora per l'Europa e per il tuo Paese. Se Berlusconi non fosse un europeista convinto, non starei nel Pdl. E poi ricordo che è stato lo stesso Berlusconi a indicare come commissari Emma Bonino, Mario Monti e Franco Frattini. Ho fatto il capogruppo del Pdl al Parlamento europeo e non ho mai ricevuto alcuna indicazione interpretabile come antieuropeista. Gianni Letta è da sempre ultrasensibile alle tematiche europee. Cosa diversa è voler partecipare alla costruzione europea portando avanti le proprie convinzioni. Non è da oggi che sostengo che la Bce dovrebbe avere gli stessi poteri della Fed, e che occorre una politica comune di difesa. Le sembra una posizione antieuropeista? Lo sostiene anche Barroso. Lasciamo perdere le polemiche della campagna elettorale e guardiamo ai fatti.
I fatti dicono però che nella coalizione di centro-destra convivono spinte fortemente antieuropeiste.
Spingere per gli Stati Uniti d'Europa vuol dire per me battersi per più Europa. Seguo la linea della Commissione. Mai avuto imbarazzi di sorta. Mi fa piacere che sia Berlusconi che Bersani e Giannino pongano con forza il tema del pregresso nei pagamenti della Pa.
Il vento in Europa e anche nel nostro Paese vira però verso una montante insofferenza verso Bruxelles, per le politiche di rigore a senso unico imposte dalla Germania e i ritardi nella messa a punto di una risposta sistemica alla crisi. La crisi morde e il lavoro non c'è. La risposta è anche nei populismi di varia matrice.
Intanto non condivido la tesi di quanti sostengono che Berlusconi e il Pdl siano definibili come populisti. Il problema esiste, riguarda non solo l'Italia e il movimento dei grillini, ma la Germania, la Finlandia, la Francia e anche altri Paesi. La risposta ai populismi è tagliare l'erba sotto i piedi di chi li cavalca. Ed eccoci nuovamente al tema della crescita, della drastica riduzione della burocrazia, della piena affermazione dell'economia sociale di mercato.
Si sta per chiudere una campagna elettorale rissosa, povera di contenuti e all'insegna delle miracolistiche promesse di riduzione delle tasse. Anche le false promesse possono alimentare la disaffezione dei cittadini e i populismi.
Le promesse devono essere mantenute, così come è accaduto per l'abolizione dell'Ici. Gli insulti servono a poco. Che poi si discuta di tasse, di Pmi e di riforma del lavoro mi sembra del tutto normale e condivisibile. Se si guarda alla fattibilità concreta, mi sembra che le opportune coperture possano essere individuate, così come illustrato nel programma del Pdl, nella cura dimagrante dello Stato, nella riduzione degli sperperi di denaro pubblico e del numero dei parlamentari.
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