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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2013 alle ore 16:25.

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Lei pensa che gli italiani crederanno a Berlusconi?
I vantaggi a breve, ancorché necessariamente seguiti da conseguenze disastrose, sono molto attraenti per gli elettori, tentati dal preferire l'uovo di oggi alla gallina di domani. E questa volta è ancora più grave perché gli italiani sanno benissimo che il pollaio oggi è vuoto. Il Paese è esausto, con una progressiva, paurosa, caduta di reddito, di investimenti, consumi e occupazione. In questo momento l'Italia ha bisogno di altro. Di fatti, programmi, cose concrete. Non si può infatti negare che la sofferenza sia altissima e che sia ulteriormente aumentata nell'ultimo anno. Il declino degli anni precedenti è continuato, portando i numeri della nostra economia indietro di venti anni.

Vuole dire che anche la cura di rigore del professor Monti non ha dato gli effetti sperati?
Riflettendo su quanto è avvenuto lo scorso anno dobbiamo distinguere due fasi. La prima, in cui la necessità di riprendere velocemente la credibilità perduta con il governo Berlusconi era prioritaria rispetto a ogni altro obiettivo. Il giorno in cui cadde il mio governo entrò nella mia stanza Tommaso Padoa-Schioppa. Ricordo ancora che disse: «Sai quanto è oggi lo spread? È a 34, un sogno per l'Italia». Con Berlusconi al governo lo spread tra BTp e Bund è arrivato fino a 575 e, conseguentemente, gli interessi sul debito schizzati sopra al 7%. Come si fa a sostenere che lo spread non conta nulla? In quella situazione, era assolutamente prioritario imporre una politica di drastico aggiustamento dei conti. Monti ha fatto un lavoro eccellente per salvare l'Italia dal fallimento. Non è bastato.

È mancata la fase due, pare di capire.
A partire dall'estate la politica del governo tecnico avrebbe dovuto essere accompagnata da una politica di rilancio, dato che diveniva chiaramente inutile bloccare la crescita del deficit se continuava a calare fortemente il Prodotto interno lordo. Ne scrissi in luglio anche perché proprio in quel periodo cominciavano a uscire i risultati di accurate ricerche internazionali che dimostravano che un prolungato avvitamento verso il basso del Pil rendeva impossibile il risanamento del debito pubblico, qualsiasi fosse stato il livello di austerità applicato.

In questo scenario ci si sarebbe aspettati una campagna elettorale incentrata sui temi dell'economia reale. Nessuno parla della competitività.
È da sempre la mia grande preoccupazione. Partendo da questa situazione si doveva aprire una campagna elettorale attenta ai temi dello sviluppo e del lavoro in un quadro controllato delle spese che, almeno in buona parte, aveva già tranquillizzato i partner europei. Ricordiamo che quando si parla di lavoro non si può parlare solo di leggi sul lavoro ma di sviluppo per creare occupazione.

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