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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2013 alle ore 06:37.

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«I nostri servizi fatturano 30 milioni al mese, per cui un ritardo nei pagamenti fino a settembre vale qualcosa come 270 milioni di euro. In queste condizioni, faccio fatica a vedere in tutta Italia un'azienda di igiene ambientale che non sia a rischio paralisi». A parlare così è Maurizio Chiarini, amministratore delegato di un colosso come il Gruppo Hera, che nel servizio di raccolta e smaltimento rifiuti lavora con 180 Comuni.

Una realtà come Hera ha due vantaggi importanti: le dimensioni e le caratteristiche della multiutility le permettono di "ammortizzare" in parte con le altre attività il blocco delle riscossioni nei rifiuti, e la sua zona d'azione (Emilia Romagna in primis) apre alla possibilità di chiedere qualche aiuto ai Comuni.
«Stiamo facendo accordi con i sindaci per l'emissione di fatture mensili da scontare in banca - spiega Chiarini – ma nemmeno questo stratagemma è semplice perché prima ogni Comune deve approvare un nuovo piano finanziario e riaffidarci i servizi». E anche in questo caso, c'è comunque un onere finanziario aggiuntivo che l'azienda deve sopportare nel rapporto con gli istituti di credito.
Il rinvio elettorale a luglio è infatti solo il più visibile dei problemi creati dalle nuove regole Tares, che si estendono anche alla gestione ordinaria del sistema. «La bolletta multiservizi che facevamo ordinariamente non è più possibile, perché a incassare la Tares deve essere il Comune, e nemmeno possono continuare a funzionare i 600mila Rid che avevamo attivato perché la legge ora impone l'F24 o addirittura il bollettino postale. Roba da Ottocento».

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