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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2013 alle ore 10:14.
L'ultima modifica è del 07 aprile 2014 alle ore 11:05.

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Mi sono venuti in mente due episodi che ho già raccontato separatamente nei miei Memorandum della Domenica, ma sono convinto che messi insieme possano descrivere bene lo stato d'animo di molti degli italiani che si accingono a recarsi ai seggi, oggi e domani, e le loro aspettative di cambiamento. Sono cittadini che avvertono ogni giorno di più il peso della crisi dell'economia reale, lo sentono fuori e dentro casa, al lavoro e in famiglia. Sono cittadini che non rinunciano a scommettere su questo Paese, sanno distinguere comportamenti, uomini e responsabilità e hanno la consapevolezza che abbiamo scampato il pericolo più grande ma non siamo affatto fuori pericolo. Credono di avere il dovere di diventare più esigenti con se stessi e il diritto di essere governati da chi sa rispondere ai propri bisogni promuovendo e assecondando il cambiamento.

Il primo episodio risale a ottobre dell'anno scorso quando mi sono ritrovato, al Politecnico di Milano, in un'aula gremita di ragazzi e ragazze che sprigionavano vita. A un certo punto, viene citato un passaggio del discorso di uno studente che non riesco più a togliermi dalla testa: «Nel considerare la mia condizione, mi sono chiesto quale caratteristica mi accomuni a tutti gli altri giovani e studenti di questo Paese. La risposta più istintiva è stata la paura». Sono andato a cercare il testo integrale di quel discorso e ho potuto leggere le seguenti frasi: «Sui nostri pensieri incombono mille paure: paura di non riuscire a riscattare tutti i crediti, paura del contratto a progetto che scade; paura di non trovare, dopo gli studi, un lavoro all'altezza delle nostre aspettative o di non trovarne affatto». Inquietante, la conclusione: «Questa generazione, la mia generazione, ha paura del proprio futuro; non credo possa trovarsi un indicatore più significativo per certificare lo stato di malessere di un Paese». Il secondo episodio appartiene alle sequenze di uno specialissimo documentario, dedicato allo storico leader della Cgil, Giuseppe Di Vittorio, e riproposto davanti alla figlia Baldina, nel salone dell'Archivio Centrale dello Stato a Roma. «Lo voleva bene pure le pietre, non saccio come ha fatto a morì». Dice una voce di Cerignola, raccolta per le strade di Roma, nel giorno dell'addio a Di Vittorio, bracciante, figlio di bracciante, primo sindacalista italiano non ideologico. Fu lui a stringere un patto con i produttori, dentro le logiche del capitalismo, che guidò il mondo del lavoro sul sentiero dell'innovazione e contribuì a conquistare una prospettiva di crescita stabile e non assistenziale, soprattutto per i più giovani. Quella voce di Cerignola, a Roma, che si mescola con tutti i dialetti d'Italia, esprime la gratitudine per il coraggio delle sue scelte.

I giovani, il lavoro, l'economia reale. Questa è la sfida (vera) che il Paese ha davanti a sé e deve vincere assolutamente. C'è un filo che va riannodato in casa e in Europa per sciogliere le ansie e le paure dei nostri giorni. Bisogna tornare a mettere insieme la buona politica, uomini del fare, ceti produttivi e forze sociali, per ridefinire il perimetro dello Stato, eliminare la manomorta della burocrazia e collocare finalmente la manifattura, l'innovazione e la ricerca al centro della politica economica nazionale. L'interesse degli italiani è che domani sera dal voto emerga una indicazione di governabilità stabile in grado di realizzare progetti così impegnativi. Si deve avvertire il peso politico dell'Italia, fuori da semplicismi, trasformismi e nuovi conformismi, perché si attui in fretta il disegno degli Stati Uniti d'Europa, si combattano gli eccessi della finanza speculativa e si affianchi al rigore (necessario) la mobilitazione delle risorse indispensabili per stimolare la crescita.

Il Sole 24 Ore ha esaminato, punto per punto, i programmi di tutti i partiti su tutti i temi più spinosi, dalle tasse alla spesa pubblica, dal lavoro alla sanità, e così via, impegnandosi con un giudizio specifico (Rating 24) di efficacia e di realizzabilità. Abbiamo evitato di inseguire e offrire passerelle ai leader che hanno occupato ogni schermo e sito disponibili, sottraendosi a un confronto diretto e svicolando quasi sempre dai temi veri, ma ci siamo impegnati a dare il massimo delle informazioni utili per mettere il lettore nelle condizioni di fare una scelta con la (sua) testa e contribuire a rendere consapevole la più privata delle scelte pubbliche di un cittadino. Per vincere la paura e ripartire, ne siamo certi, il Paese si deve ricordare che cos'è e ha bisogno di una classe di governo che sappia riconoscere il suo capitale dimenticato e investa su di esso avendo l'umiltà di ascoltare e la capacità di fare.

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