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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2013 alle ore 14:16.
Prima ancora di cominciare a fare i calcoli di quanto ci costerà l'instabilità politica in termini di aumento dello spread, occorre mettere già nel conto il mancato risparmio, quantificabile in circa 10 miliardi in due anni, della discesa del differenziale con i bund tedeschi, che si è registrata non più di alcune settimane fa. Simulazioni condotte da vari istituti di ricerca e centri studi avevano ipotizzato che la discesa verso quota 200 punti base, se si fosse stabilizzata in linea con quelli che vengono ritenuti i fondamentali della nostra economia, avrebbe consentito di affrontare il 2012, anno in cui il debito pubblico raggiungerà il massimo storico del 128,1% (previsioni della Commissione europea) con meno apprensione. Di fatto, sarebbe stato possibile anche rivedere al ribasso la stima contenuta nei più recenti documenti governativi, di un onere per intressi passivi pari al 5,6% del Pil quest'anno e al 6% nel 2014. Tanto per intenderci, stiamo parlando di una cifra che oscilla tra gli 80 e i 90 miliardi.
Ora è tutto di nuovo in discussione, e la preoccupazione è più che giustificata. Quelle stesse stime, che solo qualche settimana fa, erano suscettibili di auspicate revisioni al ribasso, ora potrebbero subire variazioni al rialzo. Con tutto quel che ne consegue. È naturalmente prematuro provare a immaginare a quale livello si attesterà lo spread nei prossimi giorni, una volta che anche i mercati abbiano assorbito il contraccolpo del terremoto politico del dopo elezioni.
Un incremento non molto sopra i 300 punti base potrebbe essere assorbito senza eccessivi traumi, stante la struttura e la "duration" del nostro debito pubblico. Nei dintorni dei 400 punti base scatterebbe nuovamente l'allarme, che si trasformerebbe da nazionale in una nuova minaccia alla fragile stabilità dell'eurozona, qualora si superasse tale soglia e ci si avvicinasse pericolosamente a quota 500 punti base. Vale la pena di ricordare che quando nel novembre del 2011 il nostro spread raggiunse i 575 punti base, con tassi vicino all'8% per finanziare i nostri titoli a breve, in mancanza di una drastica inversione di rotta (che fortunatamente c'è stata con le misure varate dal governo Monti), saremmo stati costretti a ricorrere agli aiuti internazionali e a passare sotto le forche caudine della "troika" (Fmi, Bce e Commissione europea). Scenario da incubo, che rischia di riproporsi?
È da mettere nel conto che il riproporsi del "rischio-Italia" si traduca in un maggior costo del finanziamento del nostro debito pubblico. Perché le tensioni sui conti possano assorbirsi in breve, occorre che l'incertezza si riduca al minimo. In che modo? Di certo, attraverso la formazione di un governo, che a questo punto non potrà che essere delle larghe intese, ma anche attraverso rassicurazioni ai massimi livelli istituzionali che di certo non è in discussione la nostra appartenenza all'euro. Vanno rassicurati i mercati e i nostri partner internazionali. Missione in cui fondamentale, ancora una volta, sarà il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che comunque rappresenta la continuità e una assoluta garanzia di stabilità istituzionale. E forse sarebbe un segnale importante se si decidesse, con un atto "eccezionale" ma adatto alla gravità e complessità della situazione, di "prorogare" magari per un solo anno il mandato al Quirinale di Napolitano. Il tempo perché il governo che andrà a formarsi approvi la nuova legge elettorale, gestisca senza affanni la situazione sul fronte dei conti pubblici, e riporti il paese alle urne.
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