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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2013 alle ore 07:45.

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Cosa devono pensare, allora, quegli imprenditori che attendono da anni il pagamento dei crediti che vantano con la pubblica amministrazione? Sono 100 miliardi. L'ultimo governo, con il ministro Passera, ne ha tanto parlato, ma solo polvere di quella montagna di denaro è stata intaccata. Pensare al Paese reale significa sbloccare, per esempio, quei pagamenti. E se si tratterà di far salire di tre/quattro punti il dato ufficiale del rapporto debito/Pil, poco male: sono debiti che esistono e che tutta Europa già conosce, farli emergere non sposta la nostra situazione reale di indebitamento finanziario, ma sicuramente immette liquidità importante nel sistema delle imprese, permettendo a tante aziende di salvare il proprio futuro e quello dei propri dipendenti.
In fondo è anche questo il cambiamento, la discontinuità che gli italiani chiedono. Vogliono una politica più sobria e più capace di dare risposte al proprio malessere, vogliono qualcuno che li ascolti, qualcuno che dia la percezione che si sta occupando di loro.

Nessuno, bisogna ammetterlo, aveva avuto coscienza piena di quanto fosse forte questo vento di cambiamento. Ed è un fatto grave per una politica che dovrebbe avere tra le sue missioni proprio l'ascolto del Paese. Sarebbe ancora più grave, però, se ora quella politica non dimostrasse di aver compreso la lezione.
Non mi intendo di alchimie parlamentari, ma so per certo che nuovi, incomprensibili, tatticismi aggraverebbero una situazione che invece ha bisogno di una gestione il più possibile chiara e trasparente. Un governo a tempo, quindi, in grado di portare in Parlamento un programma capace di riconciliare il Paese. Su due assi:
– da una parte l'etica pubblica, con il taglio del costo della politica, il dimezzamento del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione delle sovrapposizioni tra i livelli di governo, norme più severe sulla corruzione;
– dall'altra l'economia, e quindi il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, una spinta agli investimenti pubblico-privati per creare un po' di lavoro, tagli mirati alla pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese.

Moralità pubblica ed economia reale. Sono le due facce di una stessa medaglia. In Italia la crisi economica si è fatta crisi morale, e viceversa. Non è più evidentemente (solo) una questione di spread. In gioco è il futuro dell'Italia, come nazione capace di sentirsi tale nell'oggi e ancor più nel futuro. I segnali di disgregazione ormai sono sotto gli occhi di tutti. Il tempo per gli uomini di buona volontà è ora. Se non ci sarà una buona politica capace di agire immediatamente, il Paese si avviterà nella disperazione e nel rancore.

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