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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2013 alle ore 19:35.

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Gyorgy Matolcsy (Afp)Gyorgy Matolcsy (Afp)

Il premier ungherese Viktor Orban ha nominato ieri il suo braccio destro, Gyorgy Matolcsy, alla guida della Banca centrale del Paese. La decisione di Orban segna di fatto la fine dell'indipendenza della Magyar Nemzeti Bank e rappresenta una nuova sfida del governo di Budapest all'Unione europea e al Fondo monetario internazionale.

Matolcsy, 57 anni, ha accompagnato Orban nella parabola politica che ha portato il premier dalla resistenza anticomunista, al liberismo spinto, fino all'autarchia e alla demagogia antioccidentale. Da fedele ministro dell'Economia ha portato il Paese sull'orlo del default in uno scontro continuo con le istituzioni internazionali, con le multinazionali e con i gruppi bancari presenti nel Paese, quelli che per il governo ungherese sono «i poteri forti dell'economia mondiale che agiscono per loro tornaconto contro l'interesse dell'Ungheria» e «i burocrati che vogliono comandare in casa d'altri». Non solo. Ha introdotto un prelievo speciale sull'attivo di istituti di credito, società finanziarie e assicurazioni, ha fatto pagare alle banche l'azzardo nazionale dei mutui in valuta estera, ha nazionalizzato i fondi pensione.

Norme controverse: lo scontro Budapest-Bruxelles
Se l'impianto complessivo della nuova Costituzione è il frutto dell'ideologia e della retorica del Fidesz, il partito di Orban che ha stravinto le elezioni nel 2010 - dal riferimento a Dio e al Cristianesimo come elemento fondante della nazione ungherese, alla sovrapposizione tra la nazione "politica" alla nazione "etnica" - nella stesura degli articoli che riguardano l'autonomia della banca centrale e che portando le decisioni di politica monetaria sotto il controllo dell'Esecutivo, sembra essere stato determinante proprio il contributo di Matolcsy.
Ed è su queste limitazioni all'indipendenza dell'istituto centrale - oltre che su alcune leggi liberticide come quella sui media - che si è acceso nell'ultimo anno lo scontro tra Budapest e Bruxelles. Mentre l'economia ungherese scivolava nella sua seconda recessione in quattro anni e le agenzie di rating abbassavano il giudizio sul debito sovrano a spazzatura, Orban giocava in modo molto pericoloso con l'Unione e con l'Fmi negoziando un accordo da 15 miliardi di euro che non si è mai concretizzato ma che avrebbe potuto risolvere molti problemi. Dopo che già nel 2008 un prestito di 20 miliardi del Fondo aveva salvato l'Ungheria dal default. All'Economia al posto del neogovernatore andrà l'attuale negoziatore con il Fondo monetario, Mihaly Varga.

Una svolta rischiosa
«Nominare Matolcsy alla guida della Banca centrale è come mettere un elefante in una cristalleria, i mercati sono molto preoccupati», dice Nicholas Spiro, capo della Spiro Sovereign Strategy di Londra. «Non c'è dubbio - aggiunge - che la sua nomina segna uno dei passaggi più controversi nella storia delle banche centrali».
Il nuovo governatore resterà in carica per sei anni e potrà sostenere l'economia come Orban avrebbe sempre voluto. Magari favorendo se sarà necessario l'azione del governo in vista delle elezioni politiche del prossimo anno. Il governatore uscente Andras Simor, nominato nella precedente stagione socialista, ha infatti rappresentato in Ungheria l'unico freno, se non la vera opposizione, alla deriva nazionalista e demagogica di Orban. Negli ultimi mesi Simor è stato messo in minoranza nel consiglio di politica monetaria dal voto dei membri nominati dal Parlamento che hanno abbassato per sette volte consecutive i tassi di interesse portandoli a 5,25%, nonostante l'inflazione sia vicina al 6 per cento.

I proclami ungheresi e il monito di Draghi
«La Banca centrale può supportare la politica economica del governo e aiutare a raggiungere gli obiettivi di crescita e occupazione senza compromettere i prezzi e la stabilità finanziaria», ha detto Matolcsy annunciando una svolta «coraggiosa» e «non ortodossa» di stimolo all'economia. Poi guardando ai mercati ha escluso «sorprese» e «intromissioni nel budget pubblico». Alla nomina di Matolcsy, il fiorino si è indebolito nei confronti dell'euro ma ha poi rapidamente recuperato per riassestarsi a 295,6. I rendimenti sui titoli decennali del debito sono invece scesi di 11 punti base al 6,22 per cento.
«Il nuovo governatore inizierà probabilmente con strumenti tradizionali per aiutare l'economia, con un allentamento del credito a favore delle imprese. Ma molto difficilmente otterrà risultati apprezzabili - spiega Zsolt Kondrat, di Bayerische Landesbank's Mkb da Budapest - e per questo temiamo che la Banca centrale si muoverà verso iniziative più rischiose, riducendo troppo i tassi di interesse e finendo per causare una drastica svalutazione del fiorino».
Lo scorso dicembre, a Budapest, lo stesso presidente della Bce Mario Draghi, era intervenuto nella battaglia tra la Banca centrale e il governo ungherese sottolineando che «un requisito chiave della credibilità della politica monetaria è l'indipendenza della banca centrale» e condannando, pur non potendo fare riferimenti specifici, «le politiche di bilancio irresponsabili» dei governi.

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