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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2013 alle ore 07:36.

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Quello zoccolo di cinquanta voti messo subito in campo dal partito curiale-continuista, ha inizialmente finalità difensive. Vuole stanare la prevedibile concorrenza di un grande arcivescovo internazionale di orientamenti riformatori. Ma il "campione" di questo campo – l'unico a poter davvero rivaleggiare con Ratzinger – è Carlo Maria Martini, già ritiratosi per motivi di salute dalla sede di Milano. A lui vanno alcuni voti di stima al primo scrutinio, ma sortiscono forse l'effetto di ritardare l'uscita allo scoperto di Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, gesuita come Martini. Al terzo scrutinio raccoglie 40 voti, ma Ratzinger era ormai quasi al traguardo (72). La pausa per il pranzo – sempre cruciale in conclave, poiché in Cappella Sistina è vietata ogni forma di colloquio – certifica che non c'è più spazio per alcuna mediazione: che prevedibilmente avrebbe puntato sul presidente dei vescovi italiani Camillo Ruini.
Quel "tesoretto" dei 50 voti che mandano subito in fuga la candidatura Ratzinger viene comunque già esibito nella prima, vera congregazione generale del "dopo Wojtyla".

Sabato 9 aprile 2005 (lo riferisce con puntualità il vaticanista Luigi Accattoli) 134 cardinali si ritrovano per accendere i motori del conclave, dopo il lutto "novendiale" e il funerale del papa polacco. È quel giorno che compare sui tavoli una lettera-petizione per accelerare il più possibile l'apertura del processo di beatificazione di Giovanni Paolo II ("santo subito" nelle grida e negli striscioni di Piazza San Pietro). Non si è saputo con esattezza chi siano stati i promotori dell'iniziativa, che viene tuttavia sottoscritta da alcune decine di firme. La lettera è consegnata al camerlengo Martinez Somalo, che la rimette subito nelle mani del decano Ratzinger: un gesto che dà forma espressa al pacchetto di voti che la Curia affida fin dall'inizio al suo senatore più prestigioso. A questo passaggio, per la verità, risponde personalmente Martini, a stretto giro. Alla congregazione di lunedì 11 aprile il cardinale italiano chiede subito la parola al decano tedesco. Le versioni concordano solo in parte sui dettagli, simbolicamente rilevantissimi. Dopo il primo intervento "autorizzato" di sette minuti, già molto critico sulla chiesa lasciata da Wojtyla, nessun altro porporato avrebbe osato alzare il dito. Martini avrebbe quindi chiesto la di nuovo la parola (forse addirittura per due volte, sempre con il benestare di Ratzinger) continuando a sollecitare un cambio di direzione verso una Chiesa più missionaria ed evangelica. È verosimile che parole particolarmente dure siano state riservate alla gestione della Curia negli anni del declino fisico di Wojtyla. E la prima svolta avrebbe dovuto maturare – nelle intenzioni di Martini – già in conclave: con un papa diverso dal "campione" imposto della Curia. Si dice che il grande biblista sia ricorso -in alcuni incontri riservati di quei giorni – a un'immagine della cultura popolare ebraica: durante la cena della sera pasquale, era abitudine far giocare i bambini nascondendo in casa pezzetti di pane azimo. «Lasciateci cercare un papa come i bimbi nel "Seder della Pesah"» ripete Martini. In quella primavera di otto anni fa non viene ascoltato, ma il profilo dell'austero arcivescovo di Milano che, in piedi appoggiato a un bastone, parla "forte e chiaro" al Sacro collegio allunga sicuramente la sua ombra sulle congregazioni del 2013. Anzi, lo ha già fatto: lo scorso novembre il concistoro segreto per la nomina dei sei ultimi cardinali extraeuropei (tra di essi il 53enne filippino Luis Antonio Tagle, gettonatissimo nel toto-papa).

A quanto è filtrato, la riunione del collegio, presente il papa, è uscita dalla dimensione rituale ed è stata teatro di un confronto franco e partecipato fra le eminenze dei cinque continenti.
Nell'era di internet i cardinali si conoscono tutti, molto più che in passato. Ancora nel 1978, prima del conclave di agosto, il cardinale ispanico Mario Casariego, chiedeva notizie su un collega di nome «Boteja o qualcosa di simile»: l'arcivescovo di Cracovia era praticamente sconosciuto a quello del Guatemala, che però in ottobre si associò al plebiscito finale per il papa polacco. Tutti i conclavisti che elessero Giovanni Paolo I, d'altronde, ricevevano regolarmente «Il Messaggero di Sant'Antonio»: rotocalco devozionale pubblicato in 14 lingue dai frati della basilica di Padova. Il cardinale Albino Luciani vi teneva una rubrica («Illustrissimi»), che oggi sarebbe forse catalogata come blog: ogni mese ospitava un'intervista-conversazione immaginaria con un personaggio storico del passato. I "faccia a faccia" collettivi – ma senza testimoni – in congregazione mantengono comunque un'importanza ineliminabile: gli interventi pesano il prestigio e delineano le strategie, ma possono bastare un gesto, una parola pronunciata con un certo tono, una citazione azzeccata o infelice per accreditare o svalutare una candidatura. E' anche vero che un papabile nasce quasi sempre prima e spesso altrove.

Esemplare la lunghissima rincorsa al pontificato di Paolo VI. Allevato per essere un leader della Chiesa (come Pio XII non fece mai un giorno di parrocchia), Giovanni Battista Montini avrebbe dovuto partecipare già al conclave del 1958, con buone chance di vedersi affidare il mandato di far entrare gradualmente la Chiesa nella modernità: sanando le ferite della seconda guerra mondiale e confrontandosi con il comunismo che aveva fisicamente occupato molta dell'"Europa cristiana". Pio XII, per la verità, aveva fatto crescere molto a Roma quel brillante sacerdote, figlio di una grande famiglia borghese lombarda, da sempre protagonista del cattolicesimo democratico italiano. Montini, avversato dal fascismo quando era assistente nazionale degli universitari cattolici, era diventato pro-segretario di Stato, ma senza mai ottenere la porpora. E già nel 1954, quando la politica italiana prepara l'"apertura a sinistra" del centrismo Dc, Montini viene "esiliato" da papa Pacelli a Milano: come arcivescovo prestigioso, ma pur sempre escluso dalla successione pontificia. Troppo progressista, a quell'epoca, anche per la superpotenza americana, di cui Montini era stato il principale interlocutore in Vaticano fin dagli anni della guerra. Nel conclave che eleggerà Papa Giovanni XXIII entrerà invece il suo rivale di sempre: il pupillo conservatore di Pio XII, l'arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri. Quest'ultimo parteciperà a quattro conclavi, ricevendo voti in tutti: nel secondo nel '78 sfiora addirittura l'elezione, ma resterà sempre il «papa mai eletto».

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