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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2013 alle ore 07:36.
Nella notte – fra le cellette del palazzo apostolico - scatta il "piano B" già pronto nei cassetti del pre-conclave. Il viennese Koenig propone ad alcuni colleghi europei di lanciare il 58enne polacco Karol Wojtyla: un "primo della classe" (vescovo a 38 anni, cardinale a 47). Un inclassificabile: tradizionalista moderno, giovane leone al concilio, vescovo "sul campo" nella Polonia comunista; ex operaio e intellettuale non sconosciuto nei campus americani, sportivo e mediatico. Tra i suoi lobbysti più attivi in quella notte insonne c'è il 51enne Ratzinger. Al primo scrutinio di lunedì 16 ottobre il nome del cardinale polacco risuona solo una decina di volte, ma il segnale è inequivocabile. Alla pausa pranzo l'arcivescovo di Cracovia è già "il candidato": il suo primate di Varsavia, Stefan Wyszynkyi, lo convoca nella sua cella e gli ordina di accettare. E all'ottavo scrutinio tutti accettano lui: poco conta, a posteriori, se l'esito finale sia stato 91, 99 o 101. Racconta il vaticanista Benny Lai, citando chiaramente testimoni oculari: «Wojtyla sedeva fra l'arcivescovo di Torino, Michele Pellegrino, e quello di Giakarta, Justinus Darmojuwono. Quando il quorum fu superato, l'assemblea dei cardinali rimase in silenzio, non ci furono applausi. Il papa eletto non mostrò emozione, timore, allegria. Smise di prendere nota dei voti e cominciò a scrivere con una piccola biro listata di rosso, "Sede vacante 1978, secondo conclave" . A spoglio concluso, Villot gli si avvicinò per chiedergli l'accettazione. Wojtyla lesse un appunto in latino: "Obbedendo all'articolo 86 della costituzione De eligendo summo romano pontifice, all'amore di Cristo mio Signore, nella fiducia della dolcissima madre Maria, ben cosciente dei pericoli, accetto».
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