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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2013 alle ore 06:36.

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Ormai mancano solo 22 punti base. Il vantaggio dell'Italia sulla Spagna, sul mercato dei titoli di Stato, è quasi nullo. Solo venerdì 22 febbraio, l'ultimo giorno lavorativo prima delle elezioni, Madrid era costretta a pagare 0,70 punti percentuali in più di Roma sui titoli di Stato decennali. Un mese fa la distanza, a favore dell'Italia, era di 103 punti base. Ma ora i tassi d'interesse spagnoli sono appena 22 centesimi più alti di quelli italiani e in tanti sono convinti che presto possa avvenire il sorpasso: cioè che Madrid possa tornare a finanziare il proprio debito pagando interessi più convenienti dei nostri.

Questi numeri rappresentano il costo dell'incertezza italiana post-elettorale. La «tassa» che gli italiani sono costretti a pagare per lo stallo politico. Il Paese ha ancora fondamentali economici migliori (seppur in deterioramento) di quelli spagnoli: lo Stato è avviato al pareggio di bilancio, ha un'economia più diversificata, ha famiglie meno indebitate e banche più solide, ha un mercato immobiliare non altrettanto in picchiata, ha meno della metà dei disoccupati. Ma i mercati sono tornati a non fidarsi del Belpaese. Temono lo stallo politico. L'impasse. La deriva. E dalla finanza, come un boomerang, la sfiducia rischia di abbattersi sull'economia reale.

Finanza contro economia
Sono i numeri a mostrare che, a dispetto della grande rimonta spagnola sui mercati dei titoli di Stato, l'Italia ha fondamentali economici tutt'ora ben più solidi. Seppur in repentino deterioramento. La vulnerabilità maggiore della Spagna va cercata nelle banche e nelle Regioni: fino a oggi, secondo le stime di Rbs, il Governo ha speso (o impegnato attraverso garanzie) circa 100 miliardi di euro per salvare gli istituti di credito, le Regioni e per aiutare le utility. In Italia il conto è invece infinitesimale: se da noi ci si scandalizza per i 3,9 miliardi prestati attraverso i Monti-bond al Montepaschi, in Spagna il Governo ne ha utilizzati 20 solo per aiutare Bankia.

Questo sforzo, unito agli sforamenti nei conti delle Regioni iberiche, ha mandato in tilt i conti pubblici del Paese: Madrid ha chiuso il bilancio dello Stato con un deficit del 9,99% (sarebbe 6,75% escludendo i salvataggi bancari), mentre a Roma il passivo si dovrebbe attestare sotto il 3%. Questo ha aumentato velocemente il debito pubblico: in Spagna era al 61,5% a fine 2010, ha chiuso all'86% il 2012 ed è stimato dalla Commmissione Ue al 92,7% a fine 2013. Rispetto al 2009, il debito pubblico spagnolo è quasi raddoppiato. In Italia siamo ben più alti (al 126,5%), ma più stabili.

Ma quello che pesa sulla Spagna, a differenza dell'Italia, è l'indebitamento generale. L'intera economia ha un debito pari al 350% del Pil, contro il 300% italiano. Le famiglie hanno un fardello pari all'80% circa del Pil, mentre in Italia il loro debito si ferma al 43% del Pil. In Spagna l'esposizione delle famiglie sui mutui è pari al 60% del Pil, contro il nostro 19%. Per questo il crollo del prezzo delle case iberiche (che ha perso il 22% dal 2008 al primo trimestre 2012 e che, secondo S&P, dovrebbe bruciare un altro 25%) ha messo in ginocchio famiglie, banche e – in ultima istanza – lo Stato. In Italia, invece, questo fenomeno è più contenuto. Anche perché da noi l'economia è molto più diversificata, mentre nella penisola iberica è concentrata sul settore immobiliare. Così il crollo del mattone ha prodotto un effetto collaterale gigantesco: il tasso di disoccupazione è al 26%, contro il già drammatico 11% italiano.

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