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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2013 alle ore 16:23.

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David Cameron e Valdis Dombrovskis (Afp)David Cameron e Valdis Dombrovskis (Afp)

La fiduciosa Lettonia va controcorrente. Martedì ha presentato formalmente alla Commissione europea e alla Bce la richiesta di adesione all'euro: la risposta verrà in luglio ma intanto Olli Rehn, commissario agli Affari economici, dà il suo benvenuto: "Ricordiamoci che meno di un anno fa si parlava di Grexit - ha detto in conferenza stampa al termine dell'Ecofin - una parola orribile per un concetto ancora più orribile, la disintegrazione dell'euro".

La Lettonia non si è fatta spaventare dalle tempeste che la circondano, e dalle voci sempre più numerose che nell'Eurozona dichiarano sconfitta l'esperienza della moneta unica e reclamano di tornare indietro. In realtà, non tutti i lettoni sono convinti. Ma il Governo di centro-destra di Valdis Dombrovskis (al terzo mandato, a soli 42 anni) è andato avanti dritto per la propria strada: le carte sono in regola e se tutto andrà bene, la piccola Lettonia - 2,2 milioni di abitanti - entrerà nell'area euro il 1° gennaio 2014, seguendo di tre anni la vicina Estonia e in attesa della terza repubblica baltica, la Lituania, che conta di essere nell'Eurozona dal 2015. Per attuare le riforme economiche, dice ispirato il governatore lettone Ilmars Rimsevics, l'euro "è stato la luce guida".

A guardare le cose più da vicino, il passo è meno temerario di quanto sembri. Dopo essere entrata nell'Unione europea, nel 2004, la Lettonia agganciò subito all'euro la propria moneta, il lats, riuscendo a tenere le posizioni anche se la crisi del 2008-2010 ha colpito qui più che altrove nella Ue, una recessione arrivata a un calo del Pil del 26,5%. Un record negativo vendicato dai tassi di crescita di questi anni, i migliori tra le economie europee: +5,5% nel 2012, +3,8 e +4,1% rispettivamente nel 2013 e 2014, secondo le previsioni di Bruxelles.

Preso in mano un Paese sull'orlo della bancarotta, nel 2009 Dombrovskis preferì la via di un'austerità durissima pur di non cedere all'ipotesi di svalutazione: e risanò i conti a prezzo di grandissimi sacrifici, aumentando le tasse e tagliando spesa e stipendi pubblici, ma anche grazie agli aiuti internazionali, un prestito di 7,5 miliardi di euro da Fmi e Ue che la Lettonia ha potuto permettersi di ripagare in anticipo. Perché anche gli altri "requisiti" per aderire all'euro promuovono l'economia lettone: deficit di bilancio 2013 previsto all'1,1%, debito pari al 41% del Pil, inflazione media nel 2012 al 2%. "Non vogliamo aspettare che la crisi dell'euro passi - ha detto nei giorni scorsi il ministro delle Finanze Andris Vilks - vogliamo contribuire a risolvere i problemi insieme".

Alle preoccupazioni della maggior parte della popolazione (in dicembre un sondaggio vedeva il 56% dei lettoni contro l'euro, soprattutto nel timore di un aumento dei prezzi) i sostenitori della moneta unica contrappongono l'aumento degli investimenti stranieri, l'eliminazione dei costi di conversione, la riduzione dei dei tassi di interesse sul debito, le risorse della Banca centrale europea per gli istituti nazionali.

Guardando all'esperienza positiva dell'Estonia, in rapida crescita dopo l'adesione all'euro. La moneta unica, inoltre, è già ben presente nell'economia lettone, con il 90% dei prestiti bancari e il 50% dei depositi in euro, a smorzare il rischio della svolta. Tanto basta per convincere il premier Dombrovskis che l'umore dell'opinione pubblica cambierà, su questo che per molti lettoni - dopo l'ingresso dell'ex satellite sovietico nella Ue e nella Nato - è anche un altro passo più lontano da Mosca. "Noi apparteniamo all'Europa - ha ripetuto il premier nei giorni scorsi in un'intervista al Financial Times - e non a una zona grigia tra Europa e Russia".

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