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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2013 alle ore 07:13.

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L'Italia vive un momento politico difficile che i quotidiani esteri giudicano molto negativamente. Pochi svolgono però un'analisi adeguata dell'economia italiana e delle sue forze economico-sociali. In attesa che la situazione politica si chiarisca è bene chiedersi quali politiche economiche dovrebbero essere poste in essere dal prossimo Governo e Parlamento per attuare quella discontinuità virtuosa su cui questo giornale insiste.

Tutti ormai sanno che l'Italia è in una crisi economica e sociale che non ha precedenti negli ultimi 20 anni e che non degenera soprattutto per la resistenza delle forze sociali e di una parte della nostra economia reale. La crisi diverrà insostenibile sia per altre debolezze strutturali del nostro Paese, tra cui il dualismo Nord-Sud, sia perché le pressanti richieste euro-tedesche e quelle dei mercati hanno portato ad una rafforzata messa in sicurezza dei conti pubblici fatta quasi esclusivamente con l'aumento non selettivo della pressione fiscale. Il 2012 segna perciò vari record negativi tra i quali un calo del Pil del 2,4% (che risulta peggiore di quello della Uem di 1,8 punti percentuali con un divario mai registrato dal 1994), un debito pubblico sul Pil che raggiunge il 127%, la disoccupazione che ha raggiunto (gennaio) l'11,7%, pressione fiscale al 44,4% del Pil. Di fronte a questa situazione ogni futuro Governo deve porsi due obiettivi per lo sviluppo: quello per l'economia reale italiana e quello europeo.
Nei rapporti con l'economia reale italiana e con le forze economico-sociali (imprese e sindacati) bisogna ritornare ad investire rilanciando anche un metodo rinnovato di concertazione. Purtroppo è da anni che questo non accade con sistematica razionalità mentre è cresciuta la collaborazione tra imprese e sindacati. C'è chi ritiene che una nuova concertazione sarebbe un consociativismo dannoso alla competitività. Questa è stata anche, per esempio, l'impostazione del Governo Monti che rinviando impropriamente all'economia sociale di mercato ha sostenuto che solo le liberalizzazioni avrebbero prodotto effetti sull'occupazione e sulla crescita.

Forse sarà così, ma nell'immediato un nuovo Governo dovrebbe concentrarsi sugli investimenti che presuppongono quelle semplificazioni burocratico-amministrative che ogni Esecutivo afferma di voler fare senza riuscirvi.
Urgente è anche la detassazione per promuovere investimenti (che per le infrastrutture richiedono un partenariato pubblico-privato) e per creare lavoro, reddito e speranza ai giovani (ai quali i sindacati dovrebbe guardare di più) che sosterrebbero così anche la domanda. Infine ci vuole una forte responsabilità nazionale per il Mezzogiorno che richiede altrettanto impegno del Sud che necessita di imprese ed infrastrutture e non di blocchi come quello che, per esempio, si profila per l'elettrodotto Sicilia-Calabria la cui realizzazione ridurrebbe il costo energetico in Sicilia e nel resto d'Italia.
Nei rapporti con l'Europa il prossimo Governo deve trattare subito sia per un prestito del Fondo europeo Esm (al quale contribuiamo con vari miliardi) e per gli acquisti di titoli di stato a scadenza triennale (con lo strumento Omts) della Bce sia per un allungamento dei tempi di convergenza di deficit e debito su Pil agli obiettivi del "fiscal compact". La Spagna lo ha fatto ed ha ottenuto sia il rinvio del pareggio che il prestito del fondo europeo (fino a 100 miliardi impegnati e 40 già erogati) essendo messa peggio dell'Italia per deficit ma meglio per debito pubblico. Due posizioni che si possono considerare compensate (come dimostra anche lo spread che si è quasi eguagliato) e tali da rendere Italia e Spagna analoghe nei criteri europei. Perciò quanto è stato concesso a Madrid (che con il prestito ha salvato le banche) non può essere negato a Roma (che con un prestito potrebbe creare un fondo per pagare i debiti verso le imprese e per alleggerire le sofferenze bancarie facilitando il credito). Il Presidente Monti ha sbagliato a non farlo perché da settembre, quando la situazione sui nostri titoli di stato si era calmata, egli avrebbe potuto spendere tutto il suo prestigio per sottrarre l'Europa alla politica recessiva causata dalla impostazione tedesca.

Per evitare che la crisi europea (e quella italiana) precipitino rinviamo in conclusione a quanto disse Romano Prodi nel 2002 al Parlamento europeo in seduta plenaria «Il Patto di stabilità e di crescita è stato la base che ha permesso di difendere e di governare la cultura della stabilità introdotta con così grande successo dai criteri di Maastricht. Ma essere consapevoli di tutto ciò …. non vuol dire rifiutare di vedere i limiti del quadro all'interno del quale siamo chiamati ad applicarlo. Ancora meno vuol dire applicare il Patto in modo rigido ed inflessibile, ciechi e sordi di fronte al mutare delle circostanze. Questo è ciò che io ho definito e definisco "stupido". Io non considero che il ruolo della Commissione, che il mio ruolo in quanto presidente della Commissione, sia quello di applicare le regole in questo modo».

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