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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2013 alle ore 07:57.

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Naturalmente sono tutte coincidenze. Però si accumulano in questi giorni che seguono il confuso responso delle elezioni italiane rilanciando i timori per la futura tenuta dell'euro. Sono tutte, comunque coincidenze molto indicative.
In Germania torna alla ribalta il dibattito sul «piccolo euro» contemporaneamente alla nascita di «Alternativa per la Germania», il partito favorevole al ritorno alle monete nazionali o quanto meno a un'unione monetaria più ridotta e meno costosa dell'attuale.

Non accadeva da mesi, mai da quando, a fine luglio scorso, Mario Draghi si è impegnato a salvaguardare l'integrità della moneta unica con il pubblico sostegno di Angela Merkel e François Hollande.
N on solo. Per la prima volta da quando è nato, nel lontano 1991, il cancelliere tedesco l'altro ieri ha deciso di andare a Varsavia per partecipare al vertice del gruppo di Visegrad che raccoglie Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Ci è andata insieme al presidente francese, anche se con obiettivi ostentatamente diversi.
Hollande guarda alla politica di difesa europea in vista del vertice Ue di dicembre che dovrebbe riesumarla e in piena sintonia con la decisione dei Quattro di Visegrad di creare nel 2016 un'unità di combattimento comune. La Merkel invece si concentra sul futuro più immediato, sulla messa a punto entro giugno, di un patto europeo per la competitività. L'argomento resta ostico a Parigi. Poco importa. Angela sa che l'intesa con François è sempre più fragile. Per questo si muove con abilità sulla scena europea alla ricerca di adeguati surrogati per raggiungere i suoi scopi. In novembre voleva ridurre drasticamente il bilancio pluriennale dell'Unione: la Francia e tutti i paesi mediterranei si erano messi di traverso. Allora ha stretto il patto con la Gran Bretagna euro-scettica di David Cameron sempre pronta a dare meno del minimo alle casse Ue.

Ora il copione si ripete a Varsavia ed è anche molto più facile da recitare. Il cancelliere venuto dall'Est in fondo gioca in casa, ne conosce bene la vecchia cultura e ne condivide quella nuova nata sulle macerie del comunismo. Perché è tutta imperniata sul recupero di competitività (in larga parte riuscito) di un modello di sviluppo aperto, fatto di costi e salari bassi, welfare leggero e regimi fiscali mirati a calamitare gli investimenti esteri. Che infatti piovono abbondanti, cinesi in testa.
La ricetta piace alla Germania dell'economia sociale di mercato riformata. Tanto che medita di farne una sorta di laboratorio delle future riforme europee. I dati parlano chiaro: tra il 1999 e il 2012, grazie alla profonda revisione del suo modello nello scorso decennio, la competitività globale della Germania è salita del 22,5% contro un aumento dell'1,2% in Francia, dell'1,4 in Italia, del 3,3 in Spagna.
Per colmare queste divergenze abissali, dopo aver imposto il fiscal compact, ora la Merkel sogna il patto per la competitività. Che naturalmente non passa per un euro più debole e neanche per una politica monetaria più accomodante, all'americana o alla giapponese, ma sempre e soltanto per rigore e riforme strutturali a tappeto. Perché nell'accezione culturale tedesca «la crescita è il premio della virtù». Niente di più e niente di meno.

Non ci fossero recessione e disoccupazione al 12% medio, forse il verbo di Berlino potrebbe fare scuola. Se di questi tempo i paesi dell'euro-sud non meno che Francia, Olanda e Belgio non ci vogliono sentire non è per cattiva volontà ma perché il rigore a senso unico ha già tirato troppo la corda di società ormai prostrate o inferocite. La Merkel però non demorde. Per aggirare le resistenze di alcuni partner punta su altri: scommette sulla carta dell'Est, sull'intesa cordiale con la Polonia di Donald Tusk, in breve sul recupero delle antiche zone di influenza tedesca, baltiche comprese. Il suo abbraccio va oltre l'alleanza per la competitività e punta all'ingresso nell'euro dei 4 di Visegrad.
Così, se mai saltasse davvero la moneta unica nell'attuale versione Nord-Sud, potrebbe subentrarle facilmente un'altra in formato Nord-Est, strutturalmente più omogeneo.
Fantaeuropa? Di sicuro l'Italia non ha tempo da perdere: non può permettersi di trastullarsi troppo con il fuoco dell'instabilità politica e l'indifferenza al declino economico. Nell'Unione che sobbolle e insegue nuovi equilibri di forza rischia infatti di ritrovarsi espulsa dal sistema. Perché questa Germania non aspetterà nessuno che non sia in grado di correre forte e solo con le proprie gambe.

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