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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2013 alle ore 09:00.

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«Sequester» è il nome che è stato assegnato ai tagli automatici della spesa pubblica imposti al budget federale dopo il non raggiungimento di un'intesa politica per il rientro dal deficit e per l'abbattimento del gigantesco debito americano (16,6 trilioni di dollari). Come i lettori ricorderanno, nel suo discorso alla nazione il presidente Obama aveva ammonito che la sforbiciata automatica di 85 miliardi di dollari sarebbe costata un mezzo punto percentuale di crescita del Pil e la perdita di 750mila posti di lavoro.

Nel frattempo, però, l'economia americana gode ancora degli effetti della politica espansiva perseguita dalla Casa Bianca e attuata grazie alla piena collaborazione della Fed e i risultati si vedono. Ai 157mila nuovi posti di lavoro creati in gennaio, in febbraio se ne sono aggiunti altri 236mila, che hanno contribuito a portare la disoccupazione al 7,7%. Non solo: mentre il Tesoro ha reso noti i risultati degli stress test delle banche americane (sorpassati sostanzialmente da tutte), le autorità statistiche americane hanno diffuso il dato che il reddito delle famiglie d'oltreoceano è tornato ai livelli pre-crisi.
Le notizie italiane, e più in generale di gran parte d'Europa, sono di ben altro tenore. I tempi della eventuale ripresa si allungano sempre più, al punto che molti si chiedono quante imprese arriveranno a vedere l'agognato approdo e in quali condizioni si ritroveranno, considerando che nel 2012 ne sono scomparse 100mila; i due terzi delle famiglie faticano a raggiungere la fine del mese, mentre i redditi sono tornati ai livelli di 27 anni fa e la disoccupazione è salita all'11,7 per cento. Il combinato disposto di rigore e crisi prolungata sta sostanzialmente cancellando il tempo di una generazione abbondante (in termini di creazione di reddito) mentre ne ipoteca il futuro di un'altra (in termini di disoccupazione giovanile) .

D'altronde noi il "sequestro" lo abbiamo già subito, ovvero siamo inchiodati a una serie di indicatori da noi stessi costruiti (in quanto europei) che finiscono col generare tagli di spesa pubblica e servizi che rischiano di essere sostanzialmente automatici in tempi di stagnazione e crisi prolungate. È pur vero che l'economia italiana era (e in parte resta) appesantita da un eccesso di cattiva spesa pubblica. Ma è altrettanto difficile non constatare che la rigorosa dieta a cui ci stiamo sottoponendo sta distruggendo la massa muscolare e lascia quasi intatta quella grassa. Il paradosso è che il nostro sequestro lo abbiamo fatto approvare nel bel mezzo della peggiore crisi economica degli ultimi cento anni attraverso l'introduzione del fiscal compact che nel lungo periodo dovrebbe consentire una più efficace armonizzazione delle politiche fiscali dell'eurozona ma che nel frattempo ne sta strangolando le economie. Mai come oggi sono suonate attuali le parole attribuite a Keynes: «Nel lungo periodo siamo tutti morti». È comprensibile che un Paese la cui disoccupazione è ai minimi storici come la Germania (6,7%) veda in maniera diversa la necessità di allentare il rigore e che la Cancelliera si muova anzi per fare shopping all'Est dei consensi che sta perdendo tra gli alleati occidentali (si veda l'articolo di ieri di Adriana Cerretelli). Ma le visioni, appunto, nascondono di norma anche interessi: e quelli di molti Paesi europei appaiono sempre meno riconducibili a quelli di Berlino.

C'è poi un secondo sequestro che le imprese italiane stanno subendo ed è quello nei pagamenti dei debiti che le pubbliche amministrazioni hanno nei confronti dei loro fornitori. Qui la parola sequestro non ha nulla di metaforico. E l'inazione dei governi che si sono fin qui succeduti appare semplicemente l'applicazione della logica del più forte e del più prepotente. Il rigore dei conti a senso unico, la riduzione dei deficit operata con trucchi contabili a malapena legali ma totalmente illegittimi, è tanto più inaccettabile quando distrugge la vita delle aziende e delle persone che ci lavorano. Come sempre ieri hanno illustrato molto efficacemente Luigi Guiso e Guido Tabellini, saldare questi debiti non farebbe crescere di un'unghia il debito pubblico, poiché «dal punto di vista sostanziale … i crediti vero la Pa sono già un debito dello Stato», ma immettendo liquidità nel sistema, tanto più se vincolata al pagamento a ritroso della catena dei fornitori, finirebbe per consentire la ripresa di produzioni e consumi, di Pil e occupazione.
È molto probabile che l'economia americana patirà un danno gigantesco se la follia del sequester non verrà accantonata. È purtroppo già una certezza che se l'economia europea e quella italiana non verranno «dissequestrate» rischiano un declino strutturale e non contingente.

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