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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2013 alle ore 23:00.
L'ultima modifica è del 11 marzo 2013 alle ore 17:13.

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Utile sì, ma non potrà mai sostiuire il Pil. Un importante passo avanti, perché la "felicità" delle persone non può essere misurata solo dalla ricchezza individuale e forse si potrà arrivare a pensarlo in un futuro, a livello internazionale, come indicatore di crescita. Economisti e politici procedono in ordine sparso sulla valutazione del Bes, l'indice di benessere equo e sostenibile presentato oggi a Montecitorio dal presidente dell'Istat Enrico Giovannini. Tutti d'accordo però che sarà la chiave per orientare le scelte politiche e di governo.

Gli economisti: indicatore utile, ma per molti non basta
«Gli indicatori del Bes sono molto utili per capire il fenomeno della distribuzione del reddito, che è un aspetto molto importante - spiega Stefania Tomasini, responsabile delle previsioni per l'economia italiana di Prometeia - ed è sicuramente un passo avanti perché consente di interpretare la situazione economica e sociale del paese. Faccio più fatica a cogliere la rilevanza di una discussione su come, questi indicatori, possano in qualche modo sostituirsi al Pil, che non ha l'obiettivo di misurare né felicità né benessere in senso lato, ma la crescita della produzione al netto dei consumi, un obiettivo molto più limitato e legato a degli aspetti tipicamente economici. Il punto importante è che attraverso il Bes si può capire come il reddito prodotto viene distribuito, perché lo stesso incremento di Pil, se distribuito in modo diseguale, ha effetti sociali ed economici diversi. Ci sono degli studi che mostrano come l'economia italiana, rispetto ad esempio a Francia e Germania, ha una struttura distributiva più polarizzata, dove ci sono più distanze tra redditi alti e redditi bassi, elementi molto rilevanti di cui occorre tenere conto».

Per Tito Boeri, ordinario di Economia all'Università Bocconi, il Bes «non può sostituire nella maniera più assoluta il Pil», pur offrendo una gran quantità di indicatori molto interessanti e utili come complemento al prodotto interno lordo. «È singolare che queste operazioni - commenta Boeri - vengano fatte da un paese in cui il Pil sta crollando. Non mi risulta che in stati come Brasile, Cina o India o anche in paesi anglossassoni che hanno conosciuto tassi di crescita molto più elevati siano state istituite commissioni per definire indicatori alternativi al Pil. Non vorrei che questa fosse un'operazione che deresponsabilizza la nostra classe dirigente. L'Italia soffre di bassa crescita e questi parametri non devono farci cambiare punto di vista: dobbiamo tornare a crescere e uscire dalla stagnazione economica. Certo alcuni indicatori molto importanti del Bes come la salute, la sicurezza o l'istruzione possono dare un contributo fondamentale, perché sono vicini a grandezze su cui la politica interviene, quindi la misurano rendendola più accountable e danno informazioni in aree che corrispondono al quelle di intervento del governo, attraverso i ministeri». Qualche perplessità invece, secondo Boeri, su altri indicatori quelli che tengono conto delle valutazioni soggettive sul benessere dichiarato dagli individui perché «è un po' complicato dare un grande valore a queste percezioni soggettive degli individui, basate su memorie del loro grado di soddisfazione e non comparabili, fra individui che hanno metri di valutazione diversi. Il contributo delle statistiche dovrebbe essere quello di dare delle misure il più possibile obiettive».

A essere convinto invece che il Bes sia importantissimo perché «ci dà un idea del vivere comune più articolata di quanto non sia solo il Pil», è Patrizio Bianchi, docente di economia applicata all'Università di Ferrara. «Da molto tempo gli economisti più accorti hanno dichiarato la necessità di avere degli strumenti che potessero in qualche modo misurare il benessere collettivo. Non può essere solo il reddito l'unica misura possibile di "felicità pubblica". Nel Bes - sottolinea Bianchi - ci sono tutti elementi che qualificano la vita più del reddito e che sono indice del valore sociale di una comunità».

«Se uno Stato riuscisse a passare dal Pil al Bes - sottolinea Mauro Gallegati, professore all'Università Politecnica delle Marche, e uno degli economisti consulenti di Beppe Grillo - sarebbe una rivoluzione per tutti. Il Pil è solo uno degli indicatori del benessere. Si fa di tutto per far crescere il prodotto interno lordo senza occuparci di salvaguardare il futuro delle nuove generazioni. Ci sono molti parametri che fanno vedere che anche se l'economia cresce diminuisce il benessere. È il paradosso della felicità».

Politici in ordine sparso
Anche il mondo della politica ritiene che il Bes possa e debba essere affiancato al Pil per orientare le scelte di governo del paese. «Con l'indicatore del benessere - commenta Stefano Fassina, deputato e responsabile economico del Pd - è stato fatto un passo importantissimo. Il Bes in prospettiva deve essere l'indicatore di riferimento. Abbiamo bisogno di misurare la ricchezza in modo molto più articolato di quanto riusciamo a fare con il Pil. Il Parlamento nel fare la valutazione macroeconomica di finanza pubblica delle leggi ex ante prevista per legge, dovrà organizzarsi per formulare delle valutazioni che abbiano a riferimento questo nuovo parametro di misurazione».

Più prudente il democratico Francesco Boccia per il quale «certamente il Bes dà un'altra angolatura nella visuale con cui si tende a analizzare lo stato di un paese, aiutando a migliorare le valutazioni sulla situazione sociale dell'Italia». Ma certamente va utilizzato insieme al Pil perché, aggiunge Boccia, «non dobbiamo però essere ipocriti, il giudizio dei mercati e degli investitori, che piaccia o no, fa tuttora riferimento alla capacità di produzione di valore sintetizzato del Pil».

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