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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2013 alle ore 13:45.

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Mentre la minaccia bellica e nucleare delle forze nordcoreane si fa più concreta a Seul si parla sempre più spesso di costituire un arsenale di armi atomiche per bilanciare le armi di Pyongyang. Il senso di vulnerabilità generato dai recenti successi conseguiti dal regime comunista di Kim Jong Un nel lancio di un missile a lungo raggio e nella realizzazione del terzo test sotterraneo del programma atomico hanno rianimato un dibattito non certo nuovo in Corea del Sud.

Già negli anni '70, di fronte al ridimensionamento della presenza militare statunitense in Asia in seguito alla sconfitta in Vietnam, il presidente sudcoreano Park Chung-hee lanciò l'idea di costituire un arsenale atomico nazionale. Opzione sgradita a Washington che minacciò Seul di privarla in quel caso dell'ombrello protettivo statunitense che includeva un certo numero di armi nucleari tattiche posizionate in Corea. Armi che vennero ritirate nel 1991 fornendo nuova linfa alle proposte di dotarsi della "Bomba" con la quale bilanciare i massicci arsenali di armi chimiche del Nord facilmente impiegabili contro Seul, che dista pochi chilometri dal confine del 38° Parallelo.

Come ha ricordato un articolo del New York Times in due recenti sondaggi effettuati da Gallup Korea e Asan Institute for Policy Studies, tra il 64 e il 66.5% degli intervistati si è detto favorevole a dotare le forze armate di armi nucleari per scoraggiare il Nord da possibili attacchi. Del resto la percezione di vulnerabilità nei confronti degli arsenali nordisti si è ingigantita con le attuali tensioni militari. «Il terzo test nucleare ha rappresentato per i sudcoreani quello che i missili sovietici a Cuba rappresentarono per gli Stati Uniti perché ha dimostrato che la minaccia nordcoreana è molto vicina e concreta» ha detto Han Yong-sup, professor e di Politica di Sicurezza alla Korean National Defense University.

Esponenti politici sostenuti da alcuni think tank e opinionisti premono in Parlamento per l'adozione di armi nucleari senza le quali avrebbero ben poco senso le rappresaglie contro il Nord da scatenare in caso d'attacco di cui ha parlato nei giorni scorsi la neoeletta presidente sudcoreana, la signora Park Geun-hye. Un arsenale atomico autonomo viene considerato necessario anche per far fronte al progressivo indebolimento della presenza militare statunitense in Corea, oggi 28 mila militari contro i 37 mila di dieci anni or sono e con nuove riduzioni rese probabili dal piano decennale di tagli al bilancio del Pentagono. «Gli Stati Uniti non percepiscono le armi nucleari del Nord come una minaccia diretta e non siamo certi al 100 per cento che in caso di crisi gli americani ci copriranno con il loro ombrello nucleare», ha detto senza mezzi termini Chung Mong-joon, esponente politico di spicco del partito conservatore al governo Saemuri e figlio del fondatore della Hyunday.

Il supporto di Washington non sembra essersi incrinato ma una parte crescente dell'opinione pubblica sudcoreana è rimasta delusa negli ultimi anni dall'inefficacia della politica statunitense nei confronti di Pyongyang. Per questo l'adozione di armi atomiche che bilancino quelle di Kim Jong Un sviene vista in alcuni ambienti politici governativi come una strategia irrinunciabile per garantire la sicurezza nazionale. Sul piano tecnologico Seul non avrebbe difficoltà a produrre armi del genere ma gli Stati Uniti non vogliono correre il rischio che all'attuale corsa al riarmo convenzionale in Asia se ne aggiunga una nucleare che potrebbe coinvolgere anche Giappone, Australia, Taiwan e forse anche altri Paesi.

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