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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2013 alle ore 08:38.

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«Unverticeprevedibile», preannunciava un diplomatico europeo parlando di quello che ieri pomeriggio ha riunito a Bruxelles i 28 capi di governo Ue per discutere di rilancio della crescita, rigore, riforme e competitività.
Fuori emergenza economica e sociale, la manifestazione anti-austerità dei lavoratori arrivati da Francia, Spagna, Belgio, Portogallo e Germania.

Dentro il Palazzo, invece, business as usual, calma quasi olimpica. Le conclusioni sono pre-confezionate: un po' di flessibilità nelle regole anti-deficit, compresa qualche tolleranza per gli investimenti produttivi (però tutti da definire) e poi avanti tutta con la lotta alla disoccupazione giovanile, il mantra del momento, sempre che si attivino davvero le risorse disponibili dal giugno scorso, ha sottolineato ieri il cancelliere Angela Merkel.
Niente guizzi né belle sorprese. Come se l'Europa non boccheggiasse nella recessione per il secondo anno consecutivo, i disoccupati non fossero schizzati in 5 anni dal 7% al 12%, gli occupati crollati ai livelli del 2006 e la produzione industriale non avesse perso un altro 1,3% annuo in gennaio. Come se la crisi non avesse spaccato in due l'Unione, accentuandone i divari invece di attenuarli.

Come se lo tsunami elettorale in Italia, con il suo carico di enormi incognite e potenziale instabilità politica ed economica, non fosse un preoccupante presagio per l'Europa intera: specchio e insieme paradigma delle difficoltà in cui oggi si dibattono quasi tutti i suoi Stati membri.
Come se l'Europarlamento, fatto senza precedenti, non avesse appena bocciato a larghissima maggioranza il bilancio pluriennale Ue (2014-17) licenziato solo un mese fa dall'ultimo vertice. Motivo? Strategicamente e finanziariamente inadeguato.

Cioè privo dei mezzi concreti per rendere l'economia europea più dinamica, competitiva e aggressiva sul mercato globale.Ennesimo segnale dell'inadeguatezza dell'Europa, della sua voglia di denegare i problemi rimandandoli, invece di provare a risolverli subito. Perché l'interesse nazionale tende sempre a schiacciare quello collettivo.
E così al vertice di primavera si è parlato di "semestre europeo" come fino a non molto tempo fa si discuteva dei "Grandi orientamenti di politica economica" (senza che poi seguissero i fatti). E così si è consumato l'eterno diverbio ideologico tra i promotori del rigore e quelli della crescita. Germania e nordici contro Francia, Italia, Spagna e euro-sud.
Scontro sterile. I fatti hanno dimostrato che l'eccesso di rigore produce disastrosi effetti boomerang. Così come accadrebbe con una ricetta per la crescita amputata del rigore. Tutti lo sanno. Come sanno che, smentendo i timori del nord, gli aiuti erogati a Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, non hanno prodotto nessun tipo di "moral hazard", nessuna deviazione dagli impegni assunti.

Al contrario. Secondo gli ultimi dati di Bruxelles e del LisbonCouncil, risanamento e aggiustamento di conti e competitività nei Paesi periferici dell'euro procedono bene, Italia compresa. Esempio: il "buco" dei conti correnti nella mini-area è passato dal 7% del 2008 allo 0,6% del 2012 e si ripianerà a fine anno. Quando si attendono spiragli di ripresa, a patto che le attuali politiche siano mantenute.
Più che da Sud oggi paradossalmente le maggiori inadempienze europee vengono da Nord dove non si fanno con altrettanto zelo i compiti a casa. Anche tralasciando, si fa per dire, l'enorme attivo dei conti correnti tedeschi (6% del Pil) che certo non aiuta la ripresa europea, ci sono promesse non mantenute o volutamente pasticciate a continuare a privare l'euro di alcuni essenziali strumenti anti-crisi.
Prendiamo il Fondo salva-Stati (Esm) e la ricapitalizzazione diretta delle banche decisa al vertice di giugno 2012 per rompere il legame perverso tra debiti sovrani e banche. Quasi un anno dopo non è successo niente. La Germania ci ha ripensato: troppo poco il capitale Esm, troppo alte le potenziali domande. Dove reperire fondi sufficienti? E poi chi potrebbe pagare per gli istituti tedeschi, se necessario?

Sempre in giugno si disse che, su richiesta di uno Stato membro e a precise condizioni, l'Esm avrebbe fatto scattare lo scudo anti-spread della Bce attraverso il programma Omt. Anche qui niente di fatto, sempre nebbia sulla condizionalità. Quindi né Spagna né Italia che avevano invocato il meccanismo l'hanno mai attivato per evitare salti nel buio. Prima o poi, però, questo Nord riluttante potrebbe complicare la vita di Mario Draghi e del suo impegno alla difesa "illimitata" dell'integrità dell'euro. Soprattutto oggi che la futura stabilità dell'Italia, terza economia dell'area, è diventata un'incognita tutta da sciogliere.
«Nonostante i segnali di miglioramento, per superare la recessione l'austerità va mantenuta» ha ribadito ieri, irremovibile, il tedesco Wolfgang Schäuble. Ci vorrebbe un po' di geniale imprevedibilità, di inconsueta volontà collettiva per portare l'Europa fuori dal tunnel della crisi con meno chiacchiere e un pugno di serie misure concrete. Inutile sperarci però, almeno fino alle elezioni tedesche di settembre.

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