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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2013 alle ore 08:22.

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La Grecia è un «caso speciale», il coinvolgimento delle banche nella ristrutturazione del suo debito sovrano e perdite relative è un fatto unico ed eccezionale, non farà scuola nell'Eurozona.
Poco più di un anno fa, era questo il leitmotiv che risuonava tra Bruxelles e Berlino.

Era il messaggio martellante con cui si volevano rassicurare gli investitori propiziando il recupero di stabilità nell'euro. Mai più "haircuts", dunque: soltanto per le banche evidentemente (forse). Per i depositi dei risparmiatori, no. Tanto è vero che nel weekend sono diventati il bersaglio di altra pesante sforbiciata, questa volta a Cipro, il quinto Paese, dopo Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, a invocare e ottenere a caro prezzo gli aiuti Esm, Bce e Fmi per salvare dalla bancarotta il suo settore bancario.
Ma anche Cipro è un "caso speciale" e irripetibile, si affannano tutti a ribadire in queste ore. E anche molto marginale nell'economia dell'Eurozona, visto che vale solo lo 0,2% del suo Pil. Certo, come la Grecia che valeva solo il 3% ma questo non le ha impedito di diventare la miccia di un incendio che ancora non si è spento.
Senza dubbio Cipro è un caso molto più speciale di quello ellenico: l'isola è un off-shore generoso e compiacente, crocevia di troppe transazioni opache, oasi fino a ieri sicura per i capitali russi, con un settore finanziario che vale sette volte quello economico. Tanto che i 17,5 miliardi di aiuti originariamente chiesti (poi scesi a 10) per puntellare le banche equivalgono all'intero Pil annuo del Paese.

Il problema è un altro. Ben altro. Come il doppio salvataggio di Atene aprì una voragine nel rapporto di fiducia tra Europa e investitori, tra la moneta unica e la sua tenuta futura scatenando nell'area un contagio che solo a fine luglio scorso la Bce di Mario Draghi è riuscito a fermare, così oggi la vicenda cipriota rischia di riaprire quel pericoloso copione.
Con conseguenze per certi aspetti potenzialmente ancora più devastanti. Soprattutto nei Paesi più vulnerabili dell'euro-sud. Italia compresa.
La reazione immediata e tutta negativa delle Borse, in Europa, come negli Stati Uniti e in Asia, il rialzo degli spread, il ribasso dell'euro sono del resto tutti segnali molto eloquenti. «Ogni volta fanno peggio. È una decisione assurda, grottesca» commentava ieri un banchiere europeo sconfortato.
Il prelievo forzoso su tutti i depositi sotto e sopra i 100mila euro, per ora rispettivamente del 6,75% e del 9,9% (ma le percentuali dovrebbero cambiare in 3,5% e 12,5%), frutterà 5,8 miliardi che serviranno a co-finanziare il salvataggio cipriota, visto che la quota europea non va oltre i 10 miliardi. L'operazione è legalmente ineccepibile: si presenta come una patrimoniale secca decisa dal Governo.

Di fatto, a detta di molti, è una «rapina legalizzata» a danno dei risparmiatori. Prima di tutto perché, a differenza dei banchieri Ue che a suo tempo si assunsero forti rischi acquistando bond greci, l'"haircut" dei depositi ciprioti non può certo rispondere alla stessa logica. Peggio, se non nella forma, la decisione nella sostanza è in palese contrasto con la direttiva Ue che garantisce ovunque nell'Unione europea la sicurezza dei depositi fino a 100mila euro. Al punto che ieri il portavoce di Angela Merkel a Berlino si è sentito in dovere di precisare che «la norma del 2008 resta sempre valida in Germania».
Se poi si aggiunge che quel livello di garanzia generalizzata fu concepita proprio a tutela del corretto funzionamento del mercato unico per disincentivare le distorsioni di concorrenza nella caccia al risparmio europeo, diventa ancora più chiaro il danno potenziale che l'accordo di Nicosia può provocare all'Europa.
Già un quinquennio di crisi dell'euro aveva provocato la graduale rinazionalizzazione degli investimenti intra-Ue, finanziari e non. Ora il colpo a tradimento inferto alla fiducia dei risparmiatori ciprioti promette non solo di frammentare ulteriormente il mercato unico, incoraggiare nuove fughe di capitali dall'Unione e di tagliare l'erba sotto i piedi della nascente unione bancaria, ma di accentuare i già troppo diffusi sentimenti anti-europei in Europa.

Fino a quando l'euro potrà tirare avanti nel vuoto che gli si sta creando intorno? Di questo passo la prossima mossa potrebbe essere il ripristino dei controlli sulla libera circolazione dei capitali, commentava ieri un deputato tedesco della Spd, difendendo l'accordo. Mah.

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