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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2013 alle ore 07:22.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2013 alle ore 07:52.

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In Italia, un'economia piccola in cui la proprietà delle grandi imprese e delle banche è concentrata nelle mani di poche famiglie e dello Stato, il conflitto di interesse è endemico. Per dirla con un proverbio «il più sano ha la rogna». Proprio per questo è facile scadere in «tutti colpevoli, nessuno è colpevole» o - peggio - scambiare per paladini della corporate governance coloro che la usano in modo strumentale: come a suo tempo Cesare Geronzi cercò di fare in Generali.

I l caso del recente conflitto sulla nomina di candidati al Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo da parte di Assogestioni ne è un esempio paradigmatico.
La legge sul risparmio, che impone alle società quotate di riservare dei consiglieri agli azionisti di minoranza, ha una grossa lacuna: come vengono selezionati questi candidati? Troppo spesso la lista è presentata da qualche famiglia che detiene una quota rilevante, seppur di minoranza. In questo caso il rischio è che i nominati abbiano più a cuore l'interesse della famiglia che li ha nominati di quello di tutti gli azionisti nel loro complesso.

Altre volte, la lista è presentata da Assogestioni. Purtroppo anche qui c'e' un potenziale conflitto di interesse. Assogestioni aggrega i gestori di fondi di investimento. I più grossi tra questi sono di proprietà delle principali banche ed assicurazioni. C'è il rischio che, tramite i gestori dei fondi, i vertici delle banche finiscano per nominare i loro consiglieri di amministrazione.

Fino a poco tempo fa il problema si poneva solo da un punto di vista teorico. Il gruppo dirigente della maggior parte delle imprese italiane deteneva saldamente il controllo del consiglio e quindi la qualità ed indipendenza dei consiglieri di minoranza erano irrilevanti. La crisi economica e i dissensi che questa ha creato tra i vari azionisti di controllo ha reso più importanti i consiglieri di minoranza. Con i consigli divisi il loro voto può diventare determinante in scelte strategiche. Giovanni Perissinotto non sarebbe mai stato sostituito dalla carica di amministratore delegato di Generali senza il voto determinante dei consiglieri di minoranza. Il rally del titolo Generali dopo le sue dimissioni ha dimostrato che questa fosse la scelta giusta per gli azionisti. Questa decisione, però, non ha fatto certo piacere a Perissinotto.

Il rischio che presidenti e amministratori delegati chiedano alle loro società di gestione di nominare candidati "affidabili" (ovvero che votino sempre a favore del management) invece che candidati veramente indipendenti, è in ogni caso reale. Assogestioni ha cercato di premunirsi contro questo rischio con due meccanismi. Primo: l'obbligo per una Sgr di non partecipare alle riunioni che decidono i candidati al consiglio nella banca che la controlla. Secondo meccanismo: il coinvolgimento degli investitori istituzionali esteri, naturalmente meno in conflitto sulle vicende del nostro Paese. Lungi da essere perfetti, questi meccanismi hanno il vantaggio, se non di prevenire, almeno di rendere più costose interferenze improprie. Ed è quello che è successo con le nomine per il consiglio di Intesa sanpaolo.

Lo scorso 6 marzo il comitato gestori aveva concordato una lista. Dopo che la decisione era stata presa, però, Eurizon, che a norma di regolamento non dovrebbe avere voce in capitolo in quanto controllata da Intesa Sanpaolo, ha sollevato un problema su uno dei candidati: il professor Vincenzo Carriello. In passato il suo studio legale aveva lavorato per Intesa Sanpaolo. Coerentemente con le regole del comitato, Carriello si era impegnato a dimettersi dallo studio appena eletto. Ma questo non era sufficiente per Eurizon che ha imposto un cambio della lista.

Molto più importante dalla sostanza dell'obiezione, sono il modo ed i tempi con cui questa obiezione è stata sollevata. Che Carriello appartenesse ad uno studio legale era noto al comitato gestori. Spettava quindi a loro decidere se egli era in conflitto sulla base di criteri oggettivi. Le regole non possono essere ad hominem, perché altrimenti creano totale arbitrarietà. Quando poi una regola ad hominem viene sollevata da una parte in conflitto di interesse, che non dovrebbe neppure partecipare al processo decisionale, sorge il dubbio che l'attacco sia strumentale. Il professor Carriello è un esperto di sistema duale e non ha mai fatto mistero che a suo parere quello di Intesa Sanpaolo non funziona: non proprio un voto di fiducia a chi questo sistema ha voluto ed ha sempre gestito.

Il fatto positivo è che i meccanismi di allerta hanno funzionato. Con grande coerenza, Guido Giubergia, coordinatore del comitato gestori di Assogestioni, si è dimesso in segno di protesta per le indebite interferenze di Eurizon. Un rappresentate di fondi esteri ha lasciato il comitato sdegnato. Altri fondi esteri - sentito l'accaduto -- hanno minacciato di non votare i candidati di Assogestioni. Il comitato gestori di Assogestioni è stato costretto a modificare la lista. Anche se Carriello al momento non risulta in lista, una violazione delle procedure non è passata sotto silenzio.

Dati questi segnali di allarme, in un Paese normale la Consob si sentirebbe in dovere di aprire un'indagine sull' accaduto. In un Paese normale, delle associazioni a difesa degli azionisti di minoranza lancerebbero una campagna di boicottaggio contro Eurizon con slogan tipo: "Chi investe in Eurizon sostiene la Casta". Non solo le indebite interferenze di Eurizon danneggiano la buona corporate governance, ma lasciano intravedere fini ben diversi da quello di massimizzare il rendimento degli investitori. In un Paese normale, se il problema dovesse ripetersi, un intervento legislativo per risolvere questo problema si renderebbe inevitabile. E - visto i tempi che corrono - questo intervento potrebbe essere molto costoso per tutti i partecipanti coinvolti: ad esempio l'obbligo per le banche e le assicurazioni di vendere le società di gestione, come ad esempio è accaduto in Israele.

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