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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2013 alle ore 11:04.

Trecentosedici alla Camera, 158 al Senato. Sono questi i numeri che Bersani deve raggiungere per ottenere la fiducia delle Camere al suo programma di Governo, escludendo dal conteggio i 4 senatori a vita (Ciampi, Andreotti, Colombo e Monti). Il pre-incarico ottenuto dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, è un mandato condizionato molto chiaro: Bersani è chiamato a verificare «l'esistenza di un sostegno parlamentare certo da consentire la formazione di un Governo che abbia la fiducia delle due Camere». Il leader del centrosinistra è determinato, ma la missione è complessa. Oggi è partito con la delegazione Anci il giro di consultazioni di Bersani. Domani sarà la volta di Confindustria, lunedì di Cgil, Cisl e Uil. Lunedì alle 19 Bersani riunirà la direzione del Partito democratico. Martedì sarà la volta delle forze politiche.
E se alla Camera Bersani non ha problemi, visto che nel pallottoliere conta già 345 voti, a Palazzo Madama, invece, la strada è tutta in salita. Lì dispone solo di 123 voti (109 Pd, 7 Sel e 7 Autonomie). Ma Grasso è stato eletto presidente e non vota: dunque 122. Mancano, dunque, all'appello 36 voti. Ventuno li potrebbe ottenere senza difficoltà dai montiani di Scelta civica. E a questo punto mancherebbero all'appello solo 15 voti. Il Movimento cinque stelle di Beppe Grillo (che conta al Senato su 64 voti), ha ribadito ieri il suo no alla fiducia («sulla questione non c'è nessun forse», ha detto ieri Crimi). Spazi di convergenza potrebbero aprirsi solo per temi condivisi, a partire dalla rinuncia ai rimborsi elettorali e dal dimezzamento di deputati e senatori (con risorse utilizzate per dare credito alle piccole imprese).
Bersani guarda, dunque, ai voti della Lega (16 a palazzo Madama), che consentirebbero al leader del centrosinistra, uniti a quelli di Scelta civica, di avere la maggioranza al Senato. Ma se da una parte il Carroccio guarda alla leadership della Conferenza delle Regioni, dall'altra ha bisogno del placet dell'alleato Berlusconi. Che oggi nel corso della manifestazione in piazza del Popolo a Roma ha attaccato il leader del Pd: «ha unincarico precario», ha detto. E se ieri il Cavaliere aveva invitato Bersani alla responsabilità, a non lanciarsi in «un salto nel buio», oggi è partito all'attacco: «Bersani rifiuta il patto con noi perché accecato dall'odio». E ha minacciato: «se Bersani continuerà con questo tentativo assurdo di un governo senza numeri e di minoranza, sappia che la nostra opposizione sarà durissima, senza sconti in Parlamento e nelle piazze».
Anche se le operazioni varate in parlamento sembravano ben diverse. Per dare numeri sicuri a Bersani era stato varato un nuovo gruppo (Grandi autononomie e libertà), con parti di Pdl, Lega ed ex Mpa. La stampella per Bersani, dunque,sembrava poter arrivare proprio dal nuovo gruppo, ottavo di quelli che si sono costuiti al Senato. Capogruppo è l'ex Pdl Mario Ferrara. Dieci i componenti del nuovo gruppo, Ferrara compreso. Sono "prestiti" di Pdl, Lega ed ex Mpa. Ecco i nomi: Gian Marco Centinaio, Jonny Crosio, Giuseppe Compagna, Antonio Scavone, Giovanni Mauro, Giovanni Bilardi, Laura Bianconi, Luigi Compagna, Lucio Barani.
Il Cavaliere ha detto ieri che gli otto punti del programma di governo del Pd in gran parte si sovrappongono alle misure targate Pdl. Il centrodestra starebbe anche valutando l'ipotesi di far abbassare il quorum (al Senato l'astensione in aula è conteggiata come voto negativo) uscendo dall'aula, lasciando dentro la Lega per garantire il numero legale ed evitare sorprese da parte dei grillini. Berlusconi è in finestra a guardare e chiede garanzie, in particolare sul nome del futuro inquilino del Quirinale («se anche il Quirinale dovesse andare alla sinistra sarebbe un golpe contro il paese»).
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