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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2013 alle ore 08:02.
L'ultima modifica è del 05 aprile 2013 alle ore 08:03.

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Un'aria pesante si respira in Italia e in altri Paesi della Ue e della Uem verso la costruzione europea alimentata soprattutto dal perdurare della crisi. Anche per gli Europeisti convinti ci sono molte questioni che vanno spiegate e risolte, ma ciò è ben diverso dall'abbandonare o attaccare una storica edificazione che si sviluppa da 60 anni.

In passato, come adesso, nei suoi confronti si stagliavano in Italia come altrove almeno tre categorie: quella (regressiva) degli euroavversi comprendente sia i difensori, per le più varie ragioni, della sovranità nazionale, sia i nostalgici delle svalutazioni, dell'inflazione e della finanza allegra; quella (argomentata) degli euroscettici comprendente anche chi temeva che l'unione del mercato prima e soprattutto quella monetaria poi (le due unioni m+m) non avrebbe retto senza un'unione fiscale e delle politiche economiche, dati i divari troppo forti dei Paesi membri; quella degli eurorealisti (motivata) che pur vedendo i limiti delle due unioni (m+m) ritenevano che le stesse avrebbero favorito sia la convergenza tra Stati membri sia il passaggio a ulteriori unioni come quella delle politiche economiche e infine a quella istituzionale in un sistema federale; quella degli euroentusiasti (emotiva) che per convinzione ideale o per conformismo vedevano solo vantaggi delle due unioni (m+m). Nella crisi sono molto cresciuti gli euroscettici e gli euroavversi, sia in Italia sia in Europa, per cause che vanno esaminate.

Partiamo dall'Europa le cui istituzioni sono responsabili nella crisi di vari errori che continuano. Il principale è quello di aver affrontato la crisi solo con il rigore fiscale "attenuato" con gli interventi dei fondi Salva stati e della Bce a favore di alcuni Paesi, ma con marcate, e inspiegabili, disparità di trattamento.

Tutto ciò non determinerà la rottura dell'euro, soprattutto perchè questa valuta è ormai inserita nell'economia mondiale che avrebbe dei contraccolpi devastanti.

Passiamo all'Italia che ci sembra abbia assunto una posizione di acquiescenza eccessiva alla tecnocrazia euro-germanica. Un caso recente è quello dei debiti della pubbliche amministrazioni verso le imprese che sembrano pagabili solo garantendo al Commissario europeo Rehn che rispetteremo il vincolo europeo 3% del deficit sul Pil nel 2013 e negli anni successivi. A questo punto è bene ricostruire gli eventi degli ultimo 20 giorni. Il 18 marzo una dichiarazione congiunta dei due vicepresidenti della Commissione europea, Tajani e Rehn, autorizzava (o addirittura sollecitava) le pubbliche amministrazioni a saldare i debiti che hanno verso le imprese. A quella data i debiti erano stimati in 70 miliardi che successivi aggiornamenti hanno portato a 100 miliardi. Tutto sembrava ben avviato, quanto meno per un pagamento rapido della metà del dovuto come richiesto dalla Confindustria. Anche il Parlamento italiano con una risoluzione pressochè unanime (poi inspiegabilmente attenuata da M5S) dava un via libera al Governo per decretare in merito.

Ma a quel punto si apriva un'operazione vigilanza del citato Commissario Rehn che ha chiesto garanzie al Governo sul rispetto del limite del 3% del deficit sul Pil per il 2013 ed anni successivi. Così l'Esecutivo, che vuole spalmare su molti anni il pagamento, ha rinviato la decretazione per approfondire le modalità del pagamento dei debiti che potrebbero invece essere saldati seguendo le indicazioni di Confindustria e di Astrid (Bassanini e Messori) con un sistema di garanzie pubbliche sui crediti certificati scontabili presso banche e la Cassa depositi e prestiti ed il cui onere per le amministrazioni verrebbe diluito nel tempo.

Il Governo non deve dimenticarsi di dire a Rehn che il nostro deficit, previsto tra i più bassi dell'Eurozona al 2,1% nel 2013, rimarrà comunque inferiore a quello francese e a quello spagnolo. Paesi che hanno avuto un trattamento più favorevole dalla Commissione non perché sono meglio di noi, ma perché sono politicamente ed istituzionalmente più forti. Perchè non basta dire che noi abbiamo un debito pubblico sul Pil più alto del loro dati altri nostri punti di forza. In particolare rispetto alla Spagna che nelle previsioni avrà nel 2013 il deficit su Pil al 6,7%, che ha chiesto ed ottenuto dal Fondo Europeo un prestito di 100 miliardi di euro, che ha pagato buona parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese con un marchingegno finanziario su cui la Commissione nulla ha detto.

Infine il Governo dovrebbe segnalare a Rehn che il pagamento di gran parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese darebbe una spinta al Pil sicchè l'eventuale (ma evitabile) crescita del deficit sul Pil sopra il 3% ritornerebbe poi sotto.
In conclusione. Solo passando dal rigore alla razionalità fiscale orientata alla crescita proteggeremo l'Italia e l'Eurozona. Altrimenti non saranno gli euroscettici a tiraci fuori dai guai con soluzioni che meritano comunque attenzione perché prevarranno gli euroavversi che ci porteranno al disastro.

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