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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2013 alle ore 17:53.

Il sistema delle denominazioni d'origine ha garantito una maggiore uniformità dei vini in Europa gettando le basi dell'attuale sistema di qualità. È un bilancio positivo quello tracciato per le denominazioni d'origine dei vini, dal presidente del Comitato vini del ministero per le Politiche agricole (l'organismo che governa il sistema delle Doc e Docg in Italia), Giuseppe Martelli a cinquant'anni dal varo dei marchi Doc avvenuto con la legge 930 del 1963. Una ricorrenza - il cinquantennale dei marchi di qualità dei vini - che è stato celebrato nel corso della giornata inaugurale del Vinitaly di Verona in due incontri organizzati rispettivamente dalla Coldiretti e dal ministero per le Politiche agricole.
«Il sistema stabilisce caratteristiche precise - spiega Martelli - che un vino deve rispettare se vuole fregiarsi di un'etichetta Doc. Caratteristiche che devono essere le stesse in Italia, in Francia o in Spagna giusto per citare tre dei maggiori paesi produttori europei. Oltre a caratteristiche definite un vino Doc deve anche superare il controllo di un ente terzo e rientrare in una classificazione dettagliata. Tutti elementi che hanno garantito una profonda uniformità di caratteristiche ai vini di qualità europei che si è rivelata anche uno degli elementi chiave della vera e propria esclalation del vino italiano sui mercati internazionali».
Degli effetti benefici delle Doc si è parlato. Ma non mancano però i difetti come un'eccessiva proliferazione dei marchi che finisce per generare confusione nel consumatore.
Certo i vini Doc e Docg sono circa 400 in Italia (senza contare le 118 etichette Igt ndr) e più o meno si riscontra un numero analogo anche in Francia e Spagna. Tuttavia se si va a chiedere al consumatore internazionale quali marchi d'origine conosce, difficilmente andremo oltre il numero di 10, massimo 20 per paese.
E quindi che senso ha avere centinaia di riconoscimenti?
Certo non aiuta ma non penso neanche che questa inflazione possa creare problemi eccessivi.
Come direttore Assoenologi Lei per individuare i marchi che non avevano alle spalle una produzione significativa aveva coniato anche una espressione: «le Doc di carta». Ha cambiato idea?
Continuo a pensare che sarebbe meglio non avere etichette che esistono solo sulla carta. Ma credo anche che alla fine la differenza la faccia il mercato premiando solo quelle denominazioni che sono riconosciute dal consumatore e identificate come un vero e proprio brand. Si è detto tante volte: il riconoscimento Doc è un punto di partenza di un processo di sviluppo non di arrivo. E da solo non basta per avere successo.
Tuttavia molti continuano a non pensarla così.
Sì, ma qualcosa sta cambiando. Ad esempio con la nuova legge 61 del 2010 sui vini Doc, se una denominazione non sarà rivendicata per tre anni di seguito potrà essere cancellata. Possibilità che non era prevista in precedenza. E ci siamo quasi. La legge è infatti del 2010, le prime due vendemmie sono state 2011 e 2012. E ci sono Doc non utilizzate nei primi due anni che se continueranno ad esserlo anche nel 2013 saranno revocate.
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