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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2013 alle ore 07:41.
L'ultima modifica è del 09 aprile 2013 alle ore 07:41.

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La disoccupazione in Europa ed in Italia ha raggiunto davvero livelli impressionanti che dimostrano come siamo alla terza fase della grande crisi iniziata nel 2008. Dopo la fase finanziaria si è passati a quella economica ed ora siamo a quella sociale senza che le due precedenti siano state risolte. L'ultima fase, che speriamo non si verifichi mai, potrebbe essere una crisi istituzionale dell'Unione Europea e di qualche suo Stato membro tra cui l'Italia che in questo periodo vive una situazione molto difficile.

Nella Ue i disoccupati sono 26 milioni con un aumento di quasi 9 milioni dal 2008 il che porta il tasso di disoccupazione vicino al 12%. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è al 23,5% pari a circa 5,7 milioni di persone e i Neet (giovani disoccupati scoraggiati e al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione) sono 7,5 milioni.

È davvero inconcepibile che di fronte a questa situazione l'impostazione ufficiale delle istituzioni Ue continui ad essere solo quella del rigore fiscale che, associato alle riforme strutturali, dovrebbe rilanciare, ad un anno futuro imprecisato, la crescita e l'occupazione. Non c'è dubbio che in molti Paesi (tra cui, ma non solo, l'Italia) le riforme siano necessarie ma la loro attuazione in recessione diventa molto, troppo, difficile. La Ue dovrebbe perciò privilegiare subito alcuni progetti selezionati tra quelli inclusi nei due grandi programmi poliennali (Connecting Europe Facility ed Europa 2020) di più rapida esecutività per rilanciare la crescita e l'occupazione, per valorizzare di più l'industria e le imprese potenziando ulteriormente la Bei. Inoltre a livello dei bilanci dei singoli stati va introdotta la regola aurea per l'eliminazione dai deficit delle spese per investimenti certificate dalla Ue. Clausola che potrebbe scattare solo quando si superano certi livelli di disoccupazione.

Tutto ciò richiede una pressione politica sulla Ue nella quale anche le Associazioni di imprese e sindacali dovrebbero svolgere una azione costante sia direttamente che indirettamente attraverso il Parlamento europeo e i Governi nazionali.

È interessante al proposito segnalare la determinazione con la quale David Cameron (anni 47) ha configurato, nell'intervista di ieri a questo giornale, il ruolo dell'Inghilterra a difesa dei propri interessi nella Ue affermando anche che sono pro-Ue. Nei suoi primi tre anni di Governo ha creato un milione di posti di lavoro nel settore privato, in larga parte nell'industria dei servizi finanziari che ha un ruolo guida nell'economia nazionale. Anche l'Italia dovrebbe fare altrettanto puntando sull'industria manifatturiera.

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