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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2013 alle ore 09:05.

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Il destino del redditometro è ancora del tutto incerto. Non solo per la situazione governativa e le incertezze sulla direzione della politica tributaria, ma anche per gli interventi della magistratura che tendono a riempire il vuoto politico legislativo con pronunce esagerate e non del tutto misurate nell'argomentazione giuridica.

Dopo l'ordinanza del Tribunale di Napoli di qualche settimana fa che aveva imposto all'agenzia delle Entrate di non intraprendere alcuna iniziativa fondata sul redditometro, arriva adesso una sentenza della Commissione tributaria di Reggio Emilia (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri) che, nell'argomentare, va oltre la misura che si richiede a un giudice che voglia ricorrere all'interpretazione adeguatrice costituzionalmente corretta delle leggi tributarie.

L a sentenza è interessante perché è espressione dello stato d'animo collettivo di reazione a un provvedimento legislativo che mostrava più profili di incoerenza con la tassazione del reddito e dell'accertamento sintetico. Quel decreto va rivisto alla luce dei principi che sono alla base dell'ordinamento. Al decreto c'è stata, infatti, una reazione che a mio parere non richiama il legislatore ai suoi compiti ma provoca una giurisprudenza incontrollata, quasi urlata. Questa, pur toccando punti fondamentali della materia, li affoga in doglianze che vanno oltre il segno e non concorrono a un'impostazione misurata di revisione della materia.
D'altra parte va ricnosciuto che non è compito della giurisprudenza legiferare in chiave correttiva. È pur vero che, secondo la giurisprudenza costituzionale, tocca al giudice di merito l'interpretazione adeguatrice costituzionalmente corretta della legge. Ma qui, pur dando atto alla sentenza di aver individuato i punti costituzionalmente rilevanti della questione, lo svolgimento ha solo la forza della doglianza pratica, senza il rigore del ragionamento giuridicamente persuasivo.

In ogni modo – e questo è il punto forse più importante – la forza di questa sentenza è politica nel senso di interpretare la giusta reazione dei contribuenti a un meccanismo, quello del redditometro, che fa un uso improprio delle categorie della statistica e non è del tutto coerente con il rapporto che deve esserci tra tassazione dei contribuenti e tenore di vita della famiglia di appartenenza e non tiene conto della situazione di questa nell'ordinamento tributario.

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