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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2013 alle ore 07:47.

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«Di solo risanamento l'Italia muore». Era questa l'idea forte, dopo 63 giorni di stallo politico e di fronte ad un Paese che tra il 2007 ed il 2012 ha perso 6,9 punti di Pil, che l'intero Parlamento si aspettava dal neo premier del governo «di servizio» Enrico Letta.

Su questa aspettativa non c'erano e non ci sono divisioni, a cominciare evidentemente dalla maggioranza che sostiene oggi un esecutivo politico, la stessa che aveva sorretto il governo tecnico di Mario Monti. Un quadro nuovo di zecca per una situazione definita "eccezionale", di transizione responsabile.
Con un discorso realista quanto basta, in un mix ben calibrato tra l'approdo agli Stati Uniti d'Europa e la necessaria «banalità della gestione del padre di famiglia che non fa debiti», Letta ha messo la crescita davanti a tutto. Non ha fatto numeri ma ha spiegato che il ritrovato controllo della finanza pubblica non si discute e resta una bussola irrinunciabile. Si è dato un orizzonte (18 mesi, poi una verifica sul lavoro fatto o non fatto sulle riforme costituzionali). Ha dato segnali precisi sul fronte sensibile della riduzione dei costi della politica (via il finanziamento pubblico dei partiti, soppressione delle province, taglio del doppio stipendio dei ministri). Ha annunciato che già stasera, dopo il voto di fiducia al Senato, partirà alla volta di Berlino, Parigi e Bruxelles per presentare i suoi piani in Europa. Qui come negli Stati Uniti Letta è peraltro già ben conosciuto. Forse non è un caso che il governo fortemente voluto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sia stato salutato ieri mattina dai mercati con un "welcome" di tutto rispetto.

Milano "reginetta" delle Borse, spread in calo a quota 271, tasso dei Btp a dieci anni al 3,94%, livello che ci riporta al 2010, prima dello scoppio della crisi greca.
Crescita, dunque. Ma cosa fare, in concreto? Il piano è certamente ambizioso e spazia fino ad una nuova politica per l'innovazione e la ricerca, la nomina del commissario unico per l'Expo, la revisione strategica dell'intero sistema delle autorizzazioni in chiave antiburocratica. Il lavoro è la priorità assoluta come perno di ritrovata coesione sociale per evitare drammatici sbandamenti collettivi e personali di un Paese arrugginito e allarmato. Ecco così la riduzione delle restrizioni per i contratti a termine, gli incentivi alle imprese che assumono giovani a tempo indeterminato, la riduzione del cuneo fiscale. Verrà rifinanziata la cassa integrazione in deroga, sarà risolto (subito) il problema degli esodati (è stato «rotto un patto» fiduciario, ha detto Letta). E bisogna in prospettiva mettere in cantiere un welfare «più universalistico e meno corportativo» con l'estensione degli ammortizzatori sociali a partire dai precari e studiare forme di reddito minimo per le famiglie più bisognose con figli.

Vasto programma. A cui si aggiunge, a suggello dell'intesa col Pdl, lo stop immediato al pagamento della prima rata Imu prevista per il prossimo 17 giugno (in vista di una riforma complessiva della tassazione sulla casa) e il proposito di evitare l'aumento di un punto dell'Iva che dovrebbe scattare dal primo luglio. Assieme al lavoro, è dunque il fisco l'altro pezzo forte dei progetti del nuovo governo. Capitolo sul quale Letta, nella dialettica destra/sinistra, si è esercitato con equilibrio millimetrico: «basta coi sacrifici per i soliti noti, ferrea lotta all'evasione fiscale ma senza che la parola Equitalia faccia venire brividi alla gente».
È evidente che tutto questo ha un prezzo, e anche molto alto, in termini di coperture finanziarie, e non a caso i due impegni già sicuri riguardano solo il blocco della rata Imu e la questione esodati. E come rilevato dalla Corte dei Conti occorre ricordare che la violenta crisi produttiva, erodendo la base imponibile, a fine 2012 ha determinato un calo delle entrate rispetto alle previsioni di primavera di ben 30 miliardi. Come dire che si cammina sul filo del rasoio per un Paese che deve formalmente ancora uscire dalla procedura d'infrazione europea per deficit eccessivo e che si è impegnato a rispettare gli impegni assunti in Europa.

Insomma, il vero lavoro sui conti (in entrata e in uscita) deve per Letta (e il nuovo ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni) ancora iniziare. E non sarà facile farli quadrare nella pur condivisibile, e assolutamente giustificata, ottica del recupero della crescita. Anche per questo giunge opportuno il fulmineo roadshow nelle capitali europee del nuovo premier. In termini di rapporto deficit/Pil l'Italia ha fatto per esempio molto meglio della Francia e della Spagna che hanno ottenuto più tempo per risanare. E anche in termini di avanzo primario (cioè al netto degli interessi) l'Italia è seconda solo dopo la Germania. Significa che Letta (e con lui il nuovo ministro degli Esteri, Emma Bonino, molto stimata a Bruxelles) possono discutere in Europa, e di Europa, senza timori reverenziali e buoni margini di manovra.

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