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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2013 alle ore 09:49.
L'ultima modifica è del 01 maggio 2013 alle ore 09:58.

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Da Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, viene un'affermazione che contiene un nocciolo di verità: «Enrico Letta è paradossalmente più forte in Europa che in Italia». Il perché lo si è capito ieri dopo l'incontro del neopremier con Angela Merkel. La cancelliera ha elogiato la «grande coalizione» italiana («un ottimo messaggio»), interpretandola come una prova di coesione e di volontà riformatrice. Ma il giovane Letta ha tenuto il punto e ha svolto una perorazione a favore di un'Unione europea che non può essere percepita dai popoli come il regno della stagnazione economica e della disoccupazione.

Difficile dire quale sia stato il risultato concreto dell'incontro o addirittura se ci sia stato un risultato. Ma si capisce che l'ospite italiano ha messo le carte in tavola, riproponendo l'obiettivo da tempo dismesso dell'Europa politica. Ora la cancelliera sa che in Italia il tono della musica è cambiato e che l'obiettivo della nuova maggioranza è quello di riappropriarsi dell'ideale europeista in una chiave di sviluppo economico, pur senza abbandonare i criteri del risanamento e anzi mantenendo gli impegni assunti dal precedente esecutivo.

Il sentiero è stretto, certo, ma questo è un punto di fondo che lega centrosinistra e centrodestra e costituisce il sostrato politico delle larghe intese. In altri termini, la grande coalizione che entusiasma la signora Merkel, forse perché richiama analoghe esperienze tedesche, non può limitarsi a replicare l'agenda Monti. Deve trasmettere un segnale dinamico all'opinione pubblica, visto che la mera austerità – lo ha ricordato Letta – ha contribuito a gonfiare il fenomeno delle liste anti-europee.

Il 25 per cento a Grillo è una campana che non suona solo per gli italiani: anche a Berlino, se non sono sordi, l'hanno intesa. Come dire che la minaccia del populismo disgregatore dell'Europa riguarda tutti. E va contrastata anche ricostruendo l'antico, tradizionale asse italo-tedesco. Del resto, l'Italia è uno dei paesi fondatori della comunità europea ed è bene rammentarlo.

È stata quindi una buona idea il viaggio a Berlino e poi a Parigi del premier che aveva appena ricevuto la fiducia parlamentare. Un modo per sottolineare una presenza più politica dell'Italia sulla scena continentale. Ma anche la via più sicura per consolidarsi rispetto alle frizioni domestiche. Le quali ruotano tutte o quasi intorno alla questione dell'Imu e al suo ormai evidente valore simbolico. Se si resta alla lettera della polemica, è chiaro che il governo appena nato sarebbe già a rischio, visto che la richiesta del Pdl (abolizione della tassa sulla prima casa e restituzione ai contribuenti di quanto versato nel 2012) non è ricevibile in questi termini perentori e ultimativi.

Letta per la verità aveva trovato una formula di compromesso, attraverso il «congelamento» della rata di giugno e la promessa di rivedere tutta la fiscalità sulle abitazioni. Poi nella giornata di ieri il ministro Franceschini ha usato parole sbagliate per dire cose vere e la miccia si è accesa. Ma si tratta, appunto, di un simbolo. Impossibile credere che Berlusconi abbia davvero intenzione di buttare all'aria un assetto da lui perseguito con tenacia. Quello che in realtà vuole è far capire a tutti, anche all'opinione pubblica più distratta, che è lui il primo azionista dell'esecutivo. E che la sua parola conta. A quanto pare ci sta riuscendo.

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